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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/286

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280 veronica franco

     100Queste in mio danno, aspra guerriera, usate;
e quanto piú di lor sète gagliarda,
tanto piú pronta a le ferite siate.
     103Qual cosa dal ferirmi vi ritarda?
Forse vi giova che d’acerba fiamma,
senza morir, per voi languisca ed arda.
     106Lasso, ch’io mi distruggo a dramma a dramma,
né de la mia nemica il mio gran foco
punto il gelido petto accende o infiamma:
     109ella si prende i miei martiri in gioco,
misero me, ché pur a nòve piaghe
dentro ’l mio petto non si trova loco.
     112Di quella fronte e de le luci vaghe,
e del dolce parlar fúr gli aspri colpi,
che ’n parte fér quell’empie voglie paghe.
     115• Volete ch’io non pianga e non v’incolpi,
e di quanto in mio scempio avete fatto
di voi mi lodi, e non sol vi discolpi?
     118L’armi prendete ad impiagarmi ratto,
e ’l mio duol disgombrando con la morte,
fate degno di voi magnanimo atto.
     121A riconciliar Tirata sorte,
onde ’l ciel mi minaccia oltraggio e scorno,
pigliate in man la spada, ardita e forte.
     124Ecco che disarmato a voi ritorno,
e, per finir il pianto a qualche strada,
ai vostri piedi umil mi volgo intorno:
     127del vostro sdegno la tagliente spada,
s’altro non giova, omai prendete in mano,
e sopra me ferendo altèra cada.
     130Ripetete pur via di mano in mano,
mentre dal segno alcun colpo non erra,
e che l’oggetto avete non lontano:
     133breve fatica queste membra atterra,
lacere e tronche d’amorosa doglia,
non punto accinte a contrastar in guerra: