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i - terze rime 343

     208Di quel ch’ai sacerdozio si conviene,
da l’essempio di molti espressi quivi,
in perfetta notizia si perviene:
     211questi, ancor morti, insegnar ponno ai vivi,
anzi in ciel vivon si, che ’l loro nome
in terra sempre glorioso arrivi.
     214E, perch’alcun io non distingua o nome,
di quelli intendo, che fúro innocenti,
e del demonio fèr le forze dome.
     217Le costor fronti a mirar riverenti,
cosi pinte, ne fanno, e in noi pensieri
destano de le cose piú eccellenti:
     220seguendo Torme lor, fan ch’altri speri,
che tien lo scettro de la casa vaga,
d’alzarsi al ciel per quei gradi primieri.
     223Questa de la sua vista ognuno appaga,
e sol de la memoria al cor m’imprime
colpi, che ’nnaspran la giá fatta piaga.
     226Di que’ be’ colli a le frondute cime
alzo ’l pensier, che, dal duol vinto e stanco,
fa che gli occhi piangendo a terra adirne.
     229Standomi sul verron del marmo bianco,
dove ’l palagio alzato agguaglia il monte,
ricreata posava il braccio e ’l fianco:
     232qui piagner Filomena le triste onte
con la sorella sua dolce sentia
da lor non cosí chiare altrove cónte:
     235da le fontane ad ascoltar venia
questo e quel ruscelletto, e mormorando
quasi con lor piangeva in compagnia.
     238Ben poscia a quel tenor dolce cantando
givan gli augelli per li verdi rami,
del loro amor le passion mostrando.
     241Oh che liete querele, oh che richiami
formavan contra ’l ciel, sí come suole
chi, benché ridamato, altrui forte ami!