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LXXI

Lamento, nella lontananza di lui.

     Quando piú tardi il sole a noi aggiorna,
e quando avien che poi piú tardi annotte,
quand’ei mostra il crin d’òr, quando la notte
mostra la luna l’argentate corna,
     il mio cor lasso a’ suoi sospir ritorna,
a le voci, a le lagrime interrotte;
sí l’ha tutte ad un segno ricondotte
l’assenzia di colui che Francia adorna.
     E sí caldo disio di rivederlo
fra tutt’altri martír mi preme e punge,
che non so come omai piú sostenerlo.
     E duoimi piú ch’egli è da me sí lunge,
ch’a poter richiamarlo ed a poterlo
mover a pièta il mio gridar non giunge.


LXXII

Allegoria della sua vita dolorosa.

     La mia vita è un mar: l’acqua è ’l mio pianto,
i venti sono l’aure de’ sospiri,
la speranza è la nave, i miei desiri
la vela e i remi, che la caccian tanto.
     La tramontana mia è il lume santo
de’ miei duo chiari, duo stellanti giri,
a’ quai convien ch’ancor lontana i’ miri
senza timon, senza nocchier a canto.
     Le perigliose e súbite tempeste
son le teme e le fredde gelosie,
al dipartirsi tarde, al venir preste.
     Bonacce non vi son, perché dal die
che voi, conte, da me lontan vi feste,
partîr con voi l’ôre serene mie.