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Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/109

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— Perchè così, caro.

— Per lei non esiste proprio, dunque, l’amore?

— Nessuno ci crede più di me, caro Ugo, ma tutto questo non è l’amore.

— Chissà! è per lo meno qualcosa di molto simile e a lei non costerebbe sacrificio.

— Non mi darebbe nemmeno gioia.

— Dà sempre gioia una bella donna innamorata.

— Innamorata, sì, ma tutte codeste non lo sono.

— Perchè la cercano, allora?

— Così, per un capriccio di femmine.

— Tutte?

— Tutte. In me, esse adorano ancora la loro vanità. Hanno l’illusione di vedermi più alto degli altri miei simili e vogliono sfiorare l’altezza dove mi collocano. Alcune si accontentano di avere una cartolina firmata da me. Basta, per la loro vanità. Le altre vogliono me. Ma lo scopo è identico nelle une e nelle altre: il brivido di avere accostato un morituro. Io sono, ai loro occhi, il candidato costante della morte. Domani, il destino può farmi pagare in un attimo tutti i miei trionfi e allora tu vedi il pregio tragico che acquistano un mio autografo o il ricordo del mio amore. Sai il fatto di quella ragazza che acconsentì a lasciarsi amare da Tropmann l’ultima notte di sua vita, mentre fuori gli aiutanti del boia dirizzavano la ghigliottina? Di quell’episodio la ragazza si fece poi sempre un titolo di celebrità. Si trattava di una sciagurata in quel caso, ma lo spirito del gesto ha molta affinità colla realtà del sentimento che ha dettato tutte queste lettere.

— È atroce.

— Sì, ma la donna è sempre atroce quando non è una santa.

— Senza eccezioni?

— Le eccezioni esistono ma si chiamano angeli.

— Lei mi mette paura, signor Noris.