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Non si era alterata, quella fisionomia, nemmeno il giorno in cui, l’improvvisa rottura del timone di direzione, schiantato in un viraggio troppo brusco, aveva lasciato, per pochi lunghissimi minuti, il velivolo in balia del vento con imminente e grave pericolo di vita.
Non si era turbato, Noris.
Ella ricordava perfettamente il viso che egli aveva in quell’istante, ricordava le parole che si era chinato a sussurrarle:
— Non avete paura, vero?
No, ella non aveva avuto paura ed era stata felice quando, superata la raffica, Noris le aveva detto con un buon sorriso cordiale:
— Brava; avete il sangue freddo, la prima virtù necessaria all’aviatore.
Stava ancora pensando alle parole di Noris e al suo sorriso tanto più prezioso perchè rarissimo, quando la voce di Ugo la scosse:
— Leggete, leggete! Noris ha superato la tempesta!
Una tabella affissa sopra una delle pareti dell’hangar, portava il testo di radiogrammi giunti man mano al Comitato. L’ultimo pervenuto pochi istanti prima, diceva che Noris era stato veduto a una latitudine che corrispondeva a poco più di due ore di distanza da New-York.
— Ha vinto! ha vinto! — ripeteva Ugo fuor di sè dalla gioia.
Minerva Fabbri si accontentava di osservare:
— Ve lo dicevo, io?
A un tratto, dal pubblico enorme stipato intorno al campo, un urlo enorme si levò possente ed entusiasta:
— Urrah! Noris, urrah!
Minerva si rivolse a guardare lo spazio, verso il mare, col cuore che le pulsava forte come volesse spezzarsi e, come lei, si rivolsero a interrogare l’orizzonte Ugo e mille altri.
Veniva forse, Noris?
Era forse già visibile?
No, non veniva ancora Noris, ma nella folla s’era diffusa quasi contemporaneamente la vo-