Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/284

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va Fabbri che prolungava il suo soggiorno a Cassano, presa lei pure da un bisogno di tranquillità, di silenzio, di raccolta pace che avvicinava più intimamente il suo spirito a quello di Noris.

Dopo la conversazione singolare dove Minerva si era abbandonata sin quasi a lasciar trapelare il suo amaro segreto, nessuna allusione era più stata fatta dai due giovani all’argomento che ne era stato il soggetto, ma il mutato stato d’animo di Minerva era sempre presente alla mente di Noris e modificava il suo contegno verso la fanciulla che ora egli trattava con una dolcezza affettuosa dove entrava sempre l’intenzione d’un conforto.

Quella dolcezza era morbosa per Minerva: ammolliva la sua volontà, scioglieva il suo orgoglio, rendeva più acuta la sua sensibilità, più profonda la sua tenerezza, creava le ore d’estasi in cui Noris le pareva il più buono, il più bello, il più adorabile fra gli uomini, degno di essere ammirato e adorato fra tutti, anche per quella stessa invulnerabilità che era la ragione del suo tormento e del suo spasimo ma che faceva di lui un’eccezione nobilissima fra tutti gli uomini.

Quelle ore avevano poi la reazione naturale nelle improvvise ribellioni in cui il temperamento della fanciulla prendeva il sopravvento sul suo cuore. Allora, Minerva pareva scuotersi da un letargo di tutto il suo spirito: chiamava a raccolta tutte le sue facoltà critiche per demolire in sè stessa l’idolo, per ridurlo alla proporzione di tutti gli uomini, per imporsi di rispettarlo, di odiarlo, di fuggirlo.

Non si mostrava all’aereodromo, in quei giorni: se ne stava chiusa in casa oppure usciva per la campagna. Faceva anche mille progetti contradditori che avevano tutti per scopo di far cessare quella tormentosa vita: fuggire, andarsene lontano per non tornare mai più, portare la sua casa e la sua vita in un paese dove nessuno conoscesse il nome di Ettore Noris, dove ella potesse ricominciare un’altra esistenza e ri-