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contratto era vantaggioso per ambo le parti: per Noris che — a parte il beneficio finanziario assicuratogli dal contratto — poteva trarre maggior profitto per il suo giuoco d’audacia da un motore leggerissimo e potentissimo e per la casa che non avrebbe potuto trovare maggior richiamo e più efficace della collaborazione effettiva d’un aviatore della fama e dell’abilità di Ettore Noris.
Il contratto doveva venir firmato fra due giorni, dopo un’ultima prova definitiva da parte di Noris, prova che doveva sopratutto servir di pretesto per una giornata d’aviazione dalla quale la Casa Pearly contava di trarre un vantaggio notevolissimo per il suo motore dal punto di vista della pubblicità. Per la stessa data era fissato il fidanzamento ufficiale di Max Kindler con Susanna.
Certo sarebbe stato, quello, il più bel giorno di sua vita per l’ingegnere Kindler, quello che coronava tutti i suoi sogni d’ambizione e di cuore. Insieme egli conquistava di colpo la fama, la fortuna, una situazione magnifica assicurata ormai per sempre e una compagna di vita adorata e adorabile.
Perchè era bella e buona Susanna Pearly.
Della sua origine inglese ella conservava la freschezza meravigliosa della carnagione, l’oro cupo e lucente dei capelli copiosissimi, l’alta persona slanciata rivelante la solidità e la saldezza anche sotto la delicatezza dei contorni e la purezza della linea. Ma il sole d’Italia — dove suo padre era venuto a trapiantarsi trentanni prima e dove ella era nata — aveva brunito il tono della sua carnagione di velluto e tinto di porpora le suo labbra e adombrato i suoi grandi e strani occhi verdi come una malachite stemperata nell’assenzio, di ciglia e sopracciglia nerissime. Ne derivava alla sua bellezza un suggello di stranezza singolare cui aggiungevano i modi bizzarri della fanciulla: una sua alterezza sdegnosa trasparente dalla fisionomia, dal contegno, dal tono della voce, dal modo di portare