Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/31

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amata così. La sua tenerezza avrebbe sempre trovato una scusa per i suoi difetti, un’attenuante per i suoi capricci, un motivo di adorazione per qualunque suo gesto. Era così.

Anche adesso, mentre riattraversava il giardino per ritornare in cerca di lei dopo di avere accompagnato Ettore Noris nel gabinetto del suo futuro suocero per le ultime definizioni del contratto, Max Kindler non era più tenuto che da una sola preoccupazione: quella di conoscere in che cosa egli fosse dispiaciuto a Susanna per giustificare il malumore che ella gli aveva dimostrato poco prima.

Non gli occorse indagare molto per sapere.

Appena ella lo vide si alzò e con un gran gesto di sollievo esclamò:

— Meno male! la via è libera, a quanto pare?

— Che volete dire, cara?

— Posso o non posso uscire in giardino?

— E lo chiedete, Susanna? non siete voi la padrona qui?

— Pare di no poichè non si può stare in pace nemmeno in quest’angolo.

— Avete ragione, Susanna, e vi ho già chiesto scusa. Se avessi saputo che voi eravate qui mi sarei fatto uno scrupolo di disturbarvi.

— Potevate almeno risparmiarmi quella presentazione.

Max Kindler guardò la fanciulla sbalordito.

— Se credete — ella continuò corrucciata — ch’io vi sia grata d’avermi presentato quell’individuo!

— Avete qualche speciale motivo di antipatia verso Noris? — domandò l’ingegnere ingenuamente.

— Antipatia? vi pare ch’io possa onorare di un sentimento qualsiasi cotesti individui? Deploro che mi abbiate presentato un aviatore. Qualche giorno voi arriverete a impormi ufficialmente il vostro chauffeur o il vetturino di piazza.

— Oh, che confronti, Susanna! — esclamò Max Kindler.