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un tarlato divano che trascinai davanti alla finestra per contemplare la valle bagnata di luna.

Poi, devo essermi addormentato. Spero di aver dormito, perchè se non ho sognato son diventato pazzo. Eppure!... Ecco:

Sono tuttora nello stesso locale e scorgo la traccia delle mie scarpe nella polvere; di fronte a me, in un raggio di luna, tre leggiadre donne mi contemplano. Cosa strana, non proiettano ombre dietro a loro. S’accostano a me, m’osservano con attenzione e mormorano alcune parole di cui non afferro il senso. Le due prime sono brune, con nasi aquilini come quello del Conte, e grandi occhi neri taglienti che luccicano di strano splendore. L’ultima è bionda al par della canape; ha occhi di zaffiro. Mi par di conoscerla. Ma mi è impossibile ricordarmi dove e quando l’ho incontrata. Tutt’e tre hanno denti di avorio la cui bianchezza risalta fra le belle labbra rosse. Mi inquietano e mi seducono insieme.

La bionda mi s’avvicina, ed io l’osservo fra le palpebre socchiuse. Col cuore che batte, aspetto. Essa si lecca le labbra golosamente ed applica la bocca sulla mia gola. Sento il morso di due denti acuti che mi fa svenire...

Di botto ho la sensazione della presenza del Conte. Apro gli occhi e vedo il mio ospite furibondo afferrare il fragile collo della giovine bionda. Gli occhi del Conte scintillano come due bragie ardenti, il suo viso è pallido e contratto. Con un gran gesto, simile a quello con cui fece indietreggiare i lupi, ordina alle donne di ritirarsi.

— Come osate voi toccarlo! — grida con voce sorda. — Come osate avvicinarvi a lui quando