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tero. Non ebbi paura ma avrei preferito sapere il dottor Seward nella stanza vicina. Feci uno sforzo per riaddormentarmi. Poi la paura a poco a poco s’impadronì di me. Apersi la porta e chiamai una delle domestiche. Nessuno rispose. Allora rinchiusi la porta per non svegliare la mamma. Udii un abbaiar di cane acuto e prolungato; mi accostai alla finestra e vidi attraverso i vetri un grosso pipistrello; senza dubbio era esso che batteva all’imposta. Mi ricoricai, decisa a non dormire. La porta si aprì a un tratto e mia madre entrò.

— Come stai, mia cara? — mi disse.

— Un po’ d’insonnia; ma prenderai freddo, vieni nel mio letto.

Si stese accanto a me e quasi subito i colpi alla finestra ricominciarono. Ella sussultò:

— Che cos’è?

La rassicurai e in breve s’assopì ma il suo povero cuore batteva con violenza. L’abbaiare ricominciò e in pari tempo un rumore di vetri spezzati: la lastra volò in pezzi e scorgemmo dall’apertura la testa d’un gran lupo giallo. Mia madre si rizzò con un grido di terrore e s’aggrappò a me con tanta violenza da strapparmi la ghirlanda di fiori. I suoi occhi si dilatarono con orrore inesprimibile e con un gemito ricadde all’indietro. Il lupo era scomparso. Impossibile muovere nè braccia nè gambe: ero come paralizzata: accanto a me la mia povera mamma si raffreddava: il suo cuore aveva cessato di battere. Io caddi in deliquio.

Quando rinvenni, una campana suonava, dei cani abbaiavano e un usignuolo cantava. Ero annientata dal dolore e dalla debolezza. Le don-