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infatti come nella provincia (sentite che bel nome) di Hoo-tongkiao si trovino, sopra un territorio di mediocre estensione, parecchie decine di migliaja di pozzi, scavati da tempo immemorabile per trarne le acque salate, i bitumi, e il gas infiammabile1. — Quest’ultimo come vi dissi, è usato nell’illuminazione, e, adoperato come combustibile in luogo della legna o del carbone, serve a cristallizzare il sale nelle caldaje, le quali sommano a più di 300 in un solo stabilimento. Quando io visitai le saline di Salsomaggiore, queste, nel loro piccolo, non avevano più nulla da invidiare alla Cina, poichè vi si stava scavando un nuovo pozzo, precisamente col metodo con cui si scavano in Cina».

2. «O che? mandarono forse colà qualcuno a pigliarne il modello?» domandò Giovannino.

«Si può dire che sia stato veramente così. Difatti quello stesso missionario Imbert recò in Europa un metodo di scavo altrettanto semplice quanto ingegnoso, che tornò il conto di adottarlo, anche dopo che l’arte dei trafori aveva fatto da noi grandi progressi. Prendete una palla di ferro, e sospendetela ad una cordicella, che tenete fra le dita; poi alzate e abbassate alternatamente la mano, in guisa che la palla di ferro batta, con tutto il suo peso, sul pavimento; gli è certo che alla lunga il pavimento ne sarà acciaccato e traforato, foss’anco di marmo il più duro Ecco il metodo chinese».

«Ingegnoso davvero!» sclamò ridendo Giannina.

«Eppure con questo metodo, cioè con una testa d’acciajo, pendente da una corda, che per un meccanismo molto semplice sale e scende continuo percotendo il suolo, i Cinesi riescono a spin-

  1. Ammiano Marcellino, generale e storico romano, nato ad Antiochia nell’Asia verso il 320, morto a Roma il 390, scrivendo la Storia degli imperatori romani, racconta la spedizione dell’imperatore Giuliano in Persia, della quale aveva fatto parte egli stesso, e così descrive le sorgenti di petrolio e di gas probabilmente infiammabile da lui vedute lungo il corso del Tigri (XXIII, 6): «Là, presso il lago Sosingita si trova il bitume. Il Tigri, che si perde in questo lago, ricompare dopo esser corso lungo tratto sotterra. Là si produce anche il nafta, specie di pece resinosa, simile al bitume; un uccellino che vi si posasse un istante perirebbe a un tratto senza scampo. Questa specie di liquido, una volta acceso, non si può spegnere che sotto la sabbia. In quella stessa contrada vedesi una voragine, che vapora un’alito micidiale (gas non respirabile), d’odore acre, che uccide qualunque animale vi si avvicini. Esce una così fatta peste da un pozzo profondo; se la si spandesse attorno in maggior quantità, renderebbe inabitabili tutti i dintorni. Mi accertano che anche a Serapoli nella Frigia (sulle rive del Meandro, oggi Buiuh-Meinder, nell’Anatolia), vi fosse un pozzo di questa natura». Lo stesso autore racconta che i Persiani preparano il così detto olio medico (olio dei Medi) con una cert’erba macerata nell’olio comune, e col nafta. Ne ungevano poi le frecce e le accendevano. Le frecce accese, lanciate con troppo impeto, si spegnevano; scoccate dall’arco non troppo teso, volavano ardendo e abbruciavano quanto toccavano. Non è dunque un trovato affatto nuovo quello delle bombe che sbruffano petrolio acceso.