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330 serata xix

rassomigliava affatto, non dubito affermarlo, e quello che provai quando nel cuore delle Alpi sedetti sopra una rupe perduta come isola in un mare di ghiaccio; quando distesi la prima volta lo sguardo sul mare; quando lungo tempo sdrajato sull’orlo cadente del cratere, ascoltavo a misurati intervalli i rantoli del Vesuvio, e vedevo scoppiare dalle sue fauci spalancate un globo compatto di nero fumo, con un getto di pietre nere e di scorie infocate.

7. » Non mi attendevo però che lo spettacolo dovesse crescere ancora e a tal punto, che il sentimento dell’ammirazione dovesse rimaner vinto dal senso della ripugnanza. Bisogna dire che i pipistrelli, incalzati sempre più, fuggenti a orde verso il fondo della caverna, si trovassero a un punto ov’era impossibile procedere oltre. Allora fu un indietreggiare disperato di quell’esercito in fuga che non trovava altra via di scampo, se non buttandosi dalla parte donde procedeva il nemico. In mezzo ad un rombo spaventoso vidi d’un tratto il vano della caverna riempirsi di quei mo stri volanti, che vi si agitavano come il polverio nel raggio projettato attraverso una camera oscura. Il nembo si addensa, si abbuja, ormai la buca è occupata, permettetemi l’espressione, da un’atmosfera di pipistrelli. Per essere fedele alla verità, bisogna che vi confessi la mia debolezza. Un fanciullo, una schifiltosa damina, non sarebbero parsi meno uomini di me. Quel trovarmi inondato di pipistrelli, quel doverli quasi respirare, mi metteva in uno stato di eccitazione nervosa, indescrivibile. Mi curvai da prima colla bocca quasi contro terra per difendere in qualche modo il viso dagli invasori, poi mi diedi, così carponi, a correre, guajendo per ribrezzo, sghignazzando al tempo stesso come un matto, urtando contro gli scogli come un forsennato, sempre inseguito, circondato, sommerso in quell’onda vivente. Venni così dove la caverna, benchè ampia e rischiarata, era già tutta piena di pipistrelli fuggenti che mi avevano preceduto, ed uscii coi più spaventati, a cui il terrore aveva resi tollerabili gli splendori del giorno, più che la scienza non avesse reso a me sopportabili gli orrori della notte. Che facesse intanto il mio amico, non so. Lo sentivo sghignazzare dietro di me: ma no ’l rividi che sulla bocca della spelonca, quando

                              per quel cammino ascoso
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo1.

8. » Potete pensare se avessi desiderio di tornare un’altra volta

  1. Dante, Inf., XXXIV.