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imprevidenze e disastri 391

ode il formidabile scoppio: un fracasso come di una frana passa sopra la testa dei ricoverati, e grosse pietre si veggono lanciate là, proprio nel sito dove testè si erano messi a riposare. Quì, grazie a Dio, non ci fu nulla di male. Ma continuava a narrarmi come le disgrazie siano pur troppo frequenti, e talvolta veramente terribili. Pochi anni fa, mi diceva, successe appunto un disastro, di cui i Carraresi s’avranno a risovvenire per lungo tempo. Si era dato il fuoco ad una mina straordinaria. Un gruppo d’uomini e di buoi stava a riparo dietro una piccola altura, ove sembrava assolutamente impossibile di ricevere alcun danno. Ma la mina, scoppiando, invece di scaricarsi da una parte, si scaricò dall’altra. Pezzi grossi di marmo cascarono appunto nella direzione dove si trovavano da dodici o quattordici persone con carri e buoi. Un masso tra gli altri rotolò giù con tale veemenza, che ebbe forza di risalire la piccola altura, gettandosi entro il riparo. Fu una vera carnificina.

» Anche prescindendo dalle mine, avviene talvolta che i massi, rotolando dai monti, vengono addosso all’improvvido passeggero. Nei luoghi troppo erti, quindi inaccessibili a’ buci, i massi vengono calati giù per lunghi tratti sopra robuste tregge, trattenute da forti canapi. Ma succede talvolta che il masso rompa ogni freno, e giù precipiti terribilmente in sua balía. Narra l’inglese Jervis che alcuni anni or sono un masso di prodigiosa grossezza staccossi da uno dei luoghi più elevati della montagna, e precipitando per il ravaneto1, polverizzava lo scheggiume per via, sollevando un nembo di polvere fitta come la colonna di fumo che esce dalla bocca di un cannone nell’atto che piglia la miccia. Ne’ suoi salti portentosi, quasi titanica palla, risospinto dall’una all’altra china, lo si vedeva scendere in mezzo ad un nembo di pietre, che, smosse e lanciate da lui, ne accompagnavano volando o ruzzolando la scesa. Ruppesi infine dopo aver percorso un mezzo miglio, ma non prima d’aver ucciso un certo numero di poveri operai2».

«Ma tali disgrazie accadranno di rado», disse la Giannina commossa.

  1. Ravaneto dicono i Carraresi il complesso dello sfasciume che copre il piede delle montagne.
  2. Il fatto è riportato dal Magenta colle parole del signor Jervis, che lo narra nella sua opera The mineral resources of Central Italy, London, 1868. Non posso assicurare che non sia lo stesso fatto che, con circostanze un po’ diverse e più precise, ho narrato appena più sopra, parlando delle mine, e che ho preso dal citato manoscritto di Carlo Stoppani.