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Stromboli, e quello in cui mi si presentò il Vesuvio, non c’è alcuna differenza sostanziale. L’unica differenza sta in ciò, che nello Stromboli, come in altri vulcani, le lave rimangono visibili nel loro stato di fluidità entro il cratere; mentre nel Vesuvio e negli altri vulcani le lave, solidificandosi d’ordinario alla superficie, formano un pavimento, una specie di soffitto sulle lave ribollenti al di sotto. I fenomeni stromboliani del resto hanno luogo egualmente: rigonfiamento della lava, scoppio di masse di vapori con detonazioni, getti di scorie e di lapilli. Ma questi fenomeni si manifestano attraverso il pavimento del cratere, mediante una o più aperture.

» — Però — voi direte — quella lava che si gonfia poi scoppia, poi risiede compressa, per tornarsi di nuovo a gonfiare, qui manco si vede. — Se non la si vede, la si sente, che è poi tutt’uno. Talvolta la si vede anche, ed è quando la lava si gonfia tanto, che viene a traboccare, riversandosi al di fuori dell’orifizio, aperto nel palco, come vi dissi che era avvenuto alcuni giorni prima ch’io salissi al Vesuvio. Il Vesuvio insomma, come io lo vedeva la prima volta, non presentava che per un piccolo pertugio soltanto ciò che lo Stromboli lasciò vedere allo Spallanzani in tutta l’ampiezza del cratere. Se il fumo e i getti di pietre non m’avessero impedito di guardare in fondo a quell’orifizio, avremmo veduto la lava gonfiarsi e risiedere come nello Stromboli. Il signor Abich, salito il Vesuvio nel 1834, ne trovò il cratere chiuso del pari sul fondo da solido pavimento. Esso pavimento però presentava circa una ventina di orifizî stromboliani, posti in fila sopra una retta, in guisa da disegnare una lunga crepatura. Ogni orifizio era sormontato da un piccolo cono, dell’altezza dai 18 ai 25 piedi, ciascuno col proprio cratere imbutiforme. Ognuno di quei coni rappresentava un piccolo vulcano in piena attività. Una densa colonna di vapori fischiava con suono assordante da ciascun cratere, e dilatavasi in una pesante nube, a riflessi di ogni gradazione. Lapilli e bombe piovevano ovunque all’ingiro. Il Vesuvio era dunque anche allora in piena fase stromboliana, come io lo trovai nel 1865. In questa però non perdurò lungo tempo, sicchè, tornandovi la seconda volta, cioè nel 1869, era passato alla terza fase, cioè alla fase pozzuoliana».

«Fase pozzuoliana!...» sclamò il Battista. «Che razza di nome è codesto? Mi ricordo che questo nome l’hai detto, quando parlavi delle tre fasi. Ma nè tu ci dicesti, nè noi abbiamo domandato nulla circa l’origine di quel nome».