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schi, vigneti, case, e tutto quanto le si abbatteva per via. L’emissione della lava cessò verso il 24 novembre, quando cioè il Vesuvio si senti alleggerito da quel soverchio di sei o sette milioni di metri cubici di roba, che gli bolliva nel ventricolo. Tuttavia esso era ben lontano dal mostrarsi disposto a firmare la pace. Anzi la tregua fu turbolenta; fu di chi, spossato ma non vinto, piglia tempo a radunare armi ed armati. È in questa fase di quiete menzognera che io lo colsi nel giugno del 1869, quando vi andai cogli studenti dell’Istituto tecnico superiore di Milano. Stavolta, come vedete, io non era più l’oscuro visitatore del 1865. Anzi ebbi l’alto onore di essere accompagnato dal professor Palmieri, direttore dell’Osservatorio e noto al mondo intero per le sue osservazioni sul Vesuvio, e pel suo sismometro».

«Che cos’è il sismometro?» interruppe tosto la Giannina.

«Uno strumento che indica e misura le scosse dei terremoti. Non chiedete di più per non interrompermi, se no andiam troppo per le lunghe.

3. » Salendo di buon mattino, rividi le lave del 1858, rividi l’Osservatorio, poi l’Atrio, che mi parve tutto trasformato, poi si pigliò un sentieruzzo tutto nuovo, perchè i vecchî sentieri erano stati distrutti dalle precedenti eruzioni, e su! guadagnando l’erta a fatica come la prima volta. Ma quanto era più animata la scena! A vedere quello stuolo numeroso di giovani studenti tutti brio, tutti vita, tutti entusiasmo, accompagnati dai loro professori, sparsi come macchiette semoventi, lesti come caprioli, aggrapparsi ai fianchi di quel cono nero, sormontato da un pennacchio di fumo parimente nero e scomposto come una chioma scarmigliata.... Il vento di sud — est piegava quel fumo verso il golfo, e talora quasi pigiandolo contro terra lo pianava a guisa di mantello di bambagia sul fianco del cono. Il mio occhio intanto, spingendosi ansioso, andava spiando ogni tratto dell’amica montagna, come si fa con una cara persona, non vista dopo molto tempo e molte peripezie, che si va scrutando quanto le resta, e quanto dell’antica fisonomia fu guasto o dal tempo o dal dolore. E di peripezie il Vesuvio ne avea passate dopo che io l’aveva conosciuto per la prima volta! Mano mano che mi appressava alla sommità, mi appariva infatti qualche cosa d’insolito. Sembrava che la vetta fosse coperta di brina, o piuttosto d’una neve sudicia. Che sarà mai questo?... Si sale, si sale, e quella brina, quella neve vanno perdendo a poco a poco il colore della brina e della neve, per prendere quelli variegati di una fiorita verzura. Possibile?... La cima