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la levata in montagna 83

cevole si predice mal volontieri, il montanaro, accorciando il collo e ritirando la testa quasi per metà entro le spalle contratte,

Come face le corna la lumaccia1;

ci disse: — mah!... pare.... forse più tardi.... — Quando s’è in ballo bisogna ballare, e noi non avemmo il coraggio di dare una mentita ad un proverbio che traduce tante volte così bene l’inesorabile fato degli antichi. Del resto il prevosto di Val-Furva non era uomo da darla vinta così presto.

3. » Nel congedarci dai nostri ospiti ebbe luogo un aneddoto che merita di essere raccontato perchè assai caratteristico. Fra gli utensili della casa, che tutti sarebbero altrettante meraviglie all’occhio del cittadino, avevano a sè attirato in particolare la nostra attenzione i cucchiai. Erano naturalmente di legno; ma perfettamente rotondi, coperti da una vernice certamente d’ottima qualità se resisteva alla temperatura dell’acqua bollente. Adorni di fiori, dipintivi a vivacissimi colori sul fondo, costituivano un vero capolavoro, tale che uno de’ miei compagni se ne invaghì, nè volle partire senza recare seco un saggio così singolare dell’arte alpina, per farne pompa alla città. Chiestane licenza agli ospiti, scelse il più bello; e, siccome il prezzo venne rimesso all’arbitrio dell’acquirente, il contratto fu presto stipulato e il cucchiajo, come roba di buon acquisto, già passava dal tagliere del montanaro al sacco del viaggiatore. Ma ohibò! Nessuno aveva badato al pacchierotto che la sera precedente teneva d’occhio la pentola. Egli al contrario aveva pigliato il più grande interesse al contratto, non uscendo dalla sua ordinaria impassibilità finchè non fu designata la vittima. Ma quando la mano inesorabile cadde sul cucchiajo, colpevole d’essere il più bello, la rubiconda faccia del montanarino si fe’ doppiamente rossa, si corrugò, gonfiossi con indicibile spasimodia, e ne uscì tale uno scoppio di pianto da cavarti le viscere. Che c’è, che c’è?... Noi non sapevamo raccapezzarci; strappare un motto al bambino era cosa impossibile. Ma ben lo comprese la mamma, la quale ci disse un po’ mortificata: — è il suo....».

«Piangere per un cucchiajo di legno!» sclamarono i miei nipotini, ridendo sgangheratamente.

«Voi ridete, miei cari; ed in vero non seppi io pure trattenermi dal ridere di quel curioso incidente. Ma, riflettendo, dissi

  1. Dante, Inf., XXV, 132.