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CAPO VI. 87

presero l’arte marinaresca per la pratica avutane cogli Etruschi1. La qual sentenza non parrà neppure irragionevole, qualora si ponga mente, che venuti di lungi paesi per l’interna Tessaglia non potean questi Pelasghi, abitanti della terra ferma, essere dapprima in alcun modo assueti al mare. Dove che, dopo la loro partita dall’Etruria, si mostrano di per tutto non solo esperti, ma temuti navigatori e pirati.

Al tempo in cui Dionisio scriveva era comune credenza, che Pelasghi e Greci fossero originalmente uno stesso identico popolo: e questa falsa opinione è ancor sì famigliare a noi per istudio giovanile di poeti, ed è sì comoda alla nostra ignoranza della vera provenienza dei Pelasghi, che sarà difficile il vederla mai affatto sradicata dai libri. Non però di meno formavano i Pelasghi una nazione diversa e ben differenziata per dissomiglianze di vita da quella degli Elleni: son detti barbari o strani2; e la loro lingua, che sì notevolmente Erodoto distingue per barbarica3, sonava altrimenti della greca. Grandemente incerto, così nell’antica geografia, come nella storia, si è questo nome stesso di Pelasghi, vago quanto il popolo; ed ora attribuito a una sola razza distinta, ora a tutte le tribù nomadi, che se n’andavano erranti fino nel cuore della Scizia. Sicuro è bene che la prima stazione eu-

  1. καὶ (οἰ Πελάσγοι) τῆς κατὰ τὰ ναυτικὰ ἐπιστήμης διὰ τὴν μετὰ Τυῤῥηνιῶν οἴκησιν, ἐπιπλᾶστον ἀπολελαυκότες. Dionys. i. 25.
  2. Hecateus ap. Strab. vii. p. 222
  3. Herodot. i. 57.