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CAPO VII. 155

cidentalmente e per breve tempo l’una coll’altra. Quindi ancorchè Porsena prendesse Roma. e tentasse con tutto suo sforzo il conquisto d’Aricia, non si vede che il lucumone o re di Chiusi, grave al suo popolo1, traesse dalla vittoria alcun permanente vantaggio, nè riuscisse tampoco per intervento di socj a conservare gli acquisti. Non altrimenti ne’ più soprastanti pericoli dell’Etruria veggiamo i confederati, anzichè d’accordo, guerreggiar disuniti: confusi di consigli incerti: tardi nelle azioni: inabili alle grandi difese2: e pieni d’increscevoli odj e di perturbazioni civili. Nè mai, dopo il crescimento di Roma, le colonie etrusche dell’Italia superiore ed inferiore, separate di governo e d’intenzioni, si mossero a salute della madre patria. Quei nazionali parlamenti che s’adunavano nel tempio di Voltumna, e dove i primati avean tante volte prudentemente e fortemente deliberato con sentimento comune, non porgevano più alla nazione pericolante se non che provvedimenti impotenti, e voglie divise3. Di tanto erano scemate nelle già prospere sorti, e negli agi, le virtù cittadine. Non tutta la buona ventura di Roma vinse l’Etruria; chè più di quella poterono i mal fermi legami del suo governo politico, e gli scorretti costumi in pace

  1. Praeterea fatigasse regni vires. Varro ap. Plin. xxxi. 13.
  2. Bene Virgilio xi. 782.

    Quis metus, o numquam dolituri, o semper inertes,
    Tyrrheni, quae tanta animis ignavia venit?

  3. Liv. iv. 24. v. 17. et alibi.