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CAPO VIII. 169

d’aria malvagia, nè paludi, nè memme, dove la vegetazione non potea tampoco fornire nè buoni, nè sufficienti pascoli: e per certo gli abiti della vita loro consueta li teneano discosti dal mare, o non usati a quello. Erano dunque i littorali generalmente disabitati, incolti, e mal guardati dai paesani. E questa, al giudizio nostro, è anche la cagione principalissima per cui gli stranieri, che vennero i primi nelle riviere dell’Italia, vi si poterono assai facilmente collocare con poca o niuna opposizione degl’indigeni, ritiratisi più indentro alle loro solite montuose, e più sicure dimore. Nè quivi essi mancavano di mezzi a sostentare la vita loro, ed a crescere insieme numerosi e gagliardi. Sono gli Appennini concatenati l’uno coll'altro per 640 miglia italiane dal Col di Tenda fino al Capo dell’armi. Dividono, come sa ognuno, per lungo Italia; e giusto nel centro di essa s’aggruppano e s’innalzano le più alte vette appennine, quasi riunite nella regione nominata degli Abruzzi, allato della Sabina, dell’Umbria e del Piceno. Da queste altissime cime, tra le quali il gran Sasso leva su la sua cresta nevosa sopra tutti gli altri, si diramano gli Appennini in altri monti inferiori, colli, vallate e pianure per indi risalire irregolarmente ora a gradi, ora a salti: e là di per tutto, fra l’asprezza de’ luoghi, mirabil cosa è a vedere, come la natura si mostri ancora nella sua primitiva forza di vegetazione, e in giovanil vigore. Per queste coste e pendici alpine, continovate insino a Reggio di Calabria, abbondano numerosissime praterie