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320 CAPO XVII.

la rovina d’Ilio davano stato in Italia a Nestore, Diomede, Idomeneo, Filottete, Epeo, e altri molti di stirpe eroica, non raccontavano se non che fatti poeticamente figurati, e vere novelle atte a piacere al popolo, od a lusingarlo con blandimenti. Lo stato perturbato delle tribù elleniche, e le spesse incursioni de’ Traci settentrionali, ponean la Grecia in condizione sì tanto infelice, che prima della guerra troiana le sarebbe stato impossibile volgere il pensiero alle contrade occidentali: nè poca difficoltà faceva altresì l’imperizia de’ Greci nella nautica. Massimamente da che in tempi sì remoti i mari di ponente erano pochissimo solcati; ed i pericoli della navigazione sull’Adriatico rendean presso che inconsuete quelle acque tempestose. Non pertanto dopo recata a fine la grande impresa d’Ilio, o altrimenti la gran lotta dell’Europa e dell’Asia, ebbero veramente i Greci mezzi e opportunità di portare arditi il loro nome in sconosciute contrade. Le discordie di famiglie regnanti, e le sanguinose turbolenze che indi si propagarono per tutta Grecia, non meno che le miserie della carestia e della fame, mossero i più audaci a cercarsi altrove nuova stanza. Siccome alcuni per solo effetto di positura geografica si volsero nelle loro migrazioni all’oriente della Grecia, così gli abitanti del Peloponneso s’avviarono all’occidente: e chi qua, e chi là trascorrendo, buon numero di quelli pigliarono terra nelle nostre parti meridionali o in Sicilia: rifugio dapprima e ricovero d’uomini travagliati e di famiglie fuggiasche, piuttosto