Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. I.djvu/92

Da Wikisource.
32 CAPO II.

Per la necessità di rimuovere siffatti infortunj di carestia e di pestilenza, non men che alle volte i frangenti di rovinose guerre, non valendo all’uopo né preci, né lustrazioni, né sacrifizj solenni, l’atto più meritorio di espiazione consisteva nel dedicare con la volontà di tutta la gente al Dio, cui s’apparteneva per incontrastabil diritto il sommo imperio, tutte quante le cose che nel corso d’una primavera nascessero, non eccettuato né pure i figliuoli allor usciti al mondo1. Invulnerabile e sacro aveasi quest’uso de’ padri soggiogati da religioso terrore; ma fattasi appresso per migliorate sorti men dura la vita, anche l’atroce comandamento venne a purgarsi dell’insanguinata barbarie. Perché, cessato affatto con religioni più temperate e leggi più civili l’abominevol rito delle vittime umane, fu sostituito in quel cambio pubblico voto di mandare cotali fanciulli nell’adolescenza a cercarsi altrove nuova stanza, con la protezione del nume stesso cui erano consacrati. Nel qual modo, sott’ombra di decreto divino, la gioventù ridondante, da chi ne aveva l’autorità, menavasi secondo il bisogno fuori del nido natio, a generazione di popoli futuri. Da un tal costume, che vestì sì fattamente l’indole di secoli rozzi, superstiziosi e guerrieri, ebbe sicuramente principio tra noi la diramazione di frequenti colonie d’uomini paesani, che ora con l’armi, ora coi patti, posero nel mezzo di tribù diverse, ma non mai estranee al

  1. Ver sacrum