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CAPO II. 37

riente, come dell’occidente, e quasi chiamando a se uomini d’ogni paese, poterono di certo accelerare la propria civiltà, introducendo nelle loro patrie salutari istituzioni, dottrine ed arti forestiere: né quindi dovremo più maravigliare nel proseguimento di queste istorie, che la condizione politica e morale delle italiche nazioni più celebrate, di tanto s’accosti a quella d’altri popoli lontani e civili, che quasi quasi direbbonsi ammaestrati insieme ad una medesima scuola.

Noi dobbiamo qui fermarci con queste considerazioni generali, per toccare più da presso la nostra vera meta. Arduo cimento in vero, ma fortemente sostenuto con la seducente lusinga di poter restituire in qualche parte la fama de’ nostri popoli maggiori, ai quali non mancò forse che la penna d’un Tucidide o d’un Livio, per comparire gloriosi nella memoria dei posteri. Se il magistral pennello di Tacito, in cambio di Claudio Augusto, avesse con generoso disegno tolto a vendicare dall’oblivione le azioni degli avi, noi oggi ammireremmo le virtù loro, quanto almeno vantiamo le semplici e virili istituzioni dei Germani. Laddove al contrario l’antica storia italica, già sfigurata dai Greci, e poco o nulla curata dai Romani, non ci pone oggimai sotto gli occhi se non che avanzi mutilati e rovine. Tenteremo con istudio di ritirar la Italia fuori del buio, delle favole, e delle falsità in cui fu immersa; ma prima di raccorre le disperse tavole del naufragio ci convien mostrare ai lettori, come stranamente venissero travisate le nostre istorie naturali, già