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CAPO XXII. 111

sime dell’Egitto1, dove di lungo tempo essi avean per certo commerci e frequentazioni di loro gente. Ed invero non è da maravigliarsi affatto se tante cose nostrali dell’età prisca, sì religiose, come civili, si ritrovano per autorità di fatti cotanto rassomiglianti all’egizie, da poi che in allora uno stess’ordine d’idee reggeva tra i popoli civili l’ammaestramento umano.

Quindi la mitologia etrusca accessibile all’universale, e ognora parlante con discreti comandamenti ai sensi, era nel suo tutto un sistema di enti celestiali, o piuttosto un sacro principato, che univa fra loro gradatamente gli dei supremi agli inferiori e la divinità coll’uomo. V’aveano per tanto, inoltre alle grandi intelligenze nate del primo motore, iddii speciali e particolari di luoghi, di città, di razze, di persone, non che altri spiriti mezzani tra quelli. Ma principalmente ciascun popolo teneva in altissimo onore i suoi iddii tutelari e protettori. Così Nurzia, o sia la Fortuna, arbitra del tempo e delle sorti umane, aveva tolto in sua custodia i Volsiniesi2. Presso a’ quali il moltiforme Vertunno nato in Etruria, e da toschi genitori prodotto3; interprete del futuro; professore egli stesso di tutti i misteri; teneasi quasi per un com-

  1. Vedi tav. xiv. xv, xlvi. ci. cxviii. 2.
  2. Cinc. Aliment. ap. Liv. vii. 3.; Tertull. in Apol. 24.; Martian. Capell. i. 18. 9. Vet. schol. Juvenal. x. 74.
  3. Tuscus ego Tuscis orior. Propert. iv. eleg. 4. fertumnu doveva pronunziare un etrusco, atteso la mancanza della vocale O.