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294 CAPO XXVII.

nuovi eserciti, e commettere alle proprie spade la rischievole sorte. Che oltre? nessuno ignora qual resistenza facesse Italia per cinque secoli interi alla prodezza di Roma: se non più tosto quest’ultima, accortamente rivestendosi delle forze e dei talenti, che le porgeva l’unione italica, non dovette al suo raccolto vigore la conquista del mondo romano1.

Più volte abbiamo fatta menzione della molta perizia degli Etruschi nel munire le loro principali città. Consistevano le loro fortificazioni in alte e fortissime mura costrutte di grandi pietre paralellepipedi disposte per piani orizzontali, e fiancheggiate da torri, distanti le une dalle altre quanto comportava il tiro dell’armi da lanciare. Per il che adoperavano nella fabbricazione sassi di mole grandissima murati a secco, ma connessi insieme con tale artifizio, che mediante i piani e gli angoli in essi lasciati venivano a ben combaciarsi l’uno all’altro, ritenuti solidamente in sito dalla stessa loro mole e dall’enorme peso senz’altro legamento2. Per buon accorgimento dei costruttori si collocavano a posta i pezzi più massicci vicino a terra, ed a quell’altezza dove sogliono più duramente percuotere le macchine murali, affinchè l’impressione del colpo si diffondesse meno per tutta la linea, nè mai venisse a scollegare il muro assalito. Poco valeva agli oppugnatori anche lo spediente di minare le mura per rovi-

  1. Sic romana potens Itala virtute propago. Virgil. xii. 827.
  2. Vedi tav. ix-xii.