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128 Storia dei Mille narrata ai giovinetti

si pensava, cosa si sperava, cosa si temeva per loro? Ah! Un filo di telegrafo per mandare la gran notizia alla patria e riceverne una parola. Certo da Napoli sarebbe taciuta o mandata pel mondo svisata, falsata la notizia della battaglia a far piangere.1

E intanto erano scene di gioia, come a rivedersi dopo anni ed anni, nell’incontrarsi fra loro amici di casa, di scuola, di Compagnia che si erano perduti di vista durante il combattimento e che si ritrovavano sani e salvi. Ed erano lamenti per i caduti, il tale giù ai primi colpi, il tal altro a mezzo al colle, un altro addirittura in cima quasi in braccio ai nemici. Andavano a cercarli, a guardarli, a baciarli. E così i nomi dei morti e dei feriti, il modo, il come, il dove, il quando, tutti i particolari se li scambiavano, e parlavano commossi, ma tuttavia ancora con un po’ del sentimento egoistico d’essere usciti salvi dal pericolo in cui altri aveva lasciato la vita. Si sa; il vero dolore, quello grande e sincero viene dopo, quando il sangue si è rimesso in calma e la pietà si ridesta.


Tra le Compagnie che si erano riordinate, si faceva un gran parlare dell’importanza del fatto; qua e là in quel campo ci parevano dei piccoli Parlamenti. Quelli che avevano sentito Garibaldi, quando aveva detto a

  1. Infatti il 19 maggio si mandava da Roma la notizia così: «Le bande di Garibaldi energicamente attaccate alla baionetta dalle RR. truppe a Calatafimi, sono state messe in piena rotta, lasciando sul campo di battaglia la loro bandiera, e gran numero di morti e di feriti, fra i quali uno dei capi che le comandavano.

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