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Dopo la vittoria 135

su altri campi, a rompere gli ultimi anelli delle catene che tengono avvinta la nostra Italia carissima.»1

I nemici! Ve n’erano in Calatafimi parecchi, feriti il giorno avanti e abbandonati là, perchè per via avrebbero patito troppo. I vincitori andavano a trovarli nelle chiese e nei conventi, li confortavano, li carezzavano. Ed essi dicevano che non sarebbero più tornati alle loro bandiere. Cominciava già allora la fratellanza; solo qualcuno guatava bieco e mormorava sdegnoso.

Dai Francescani, prodigava la sua carità un padre Luigi, il quale fu poi amorosissimo nei giorni appresso ai garibaldini portati là da Vita, dove non c’era luogo per tenerli se non ammucchiati come nelle prime ore dopo il combattimento. Forse quel frate si sentì prendere fin da allora da quella forza per cui ebbe il coraggio di spogliar l’abito, di lasciarsi portar via dalla rivoluzione nella vita nuova italiana; e tornato al secolo divenne col tempo uomo di cattedra, uomo di Stato in Roma, dove coloro che lo avevano conosciuto laggiù continuarono a chiamarlo in segreto «padre Luigi.»

Le emozioni del giorno avanti, il bisogno di raccoglimento, la stanchezza, non svogliarono di visitar il paese intorno chi aveva sentimento dei luoghi e delle cose. Uscendo dalla parte occidentale molti andavano in poco tempo alle rovine di Segesta, e vi si appressavano esaltandosi via via. Quelle trentasei colonne del tempio dorico rimaste in piedi come parte d'un’opera incompiuta, tanto sembravano recenti; il teatro poco più in là, ispira-
  1. Da una copia del testo, trascritto il giorno 16 maggio 1860 dal caporale furiere della 6ª Compagnia, nella Cancelleria municipale di Calafatimi, dov’era il quartier generale.