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142 Storia dei Mille narrata ai giovinetti


Quella sera si mise a dormire in un cantuccio di quell’accampamento, tra corte rocce ferrigne, dove i più novelli tra i suoi andavano timidamente a passargli vicino per guardarlo. Ma era veramente Garibaldi quell’uomo coricato su quella povera coperta, sotto quel mantello, con la sella del suo cavallo per origliere? Ed era Dittatore, e voleva levar via dal trono il Re delle Due Sicilie, egli così povero e che riposava così tranquillo, senza guardie nè nulla? Pareva un sogno. Contemplatolo un poco, quei giovinetti se ne tornavano alle Compagnie, a dire che egli dormiva e che perciò tutto doveva andar bene. Ma tutti sentivano di trovarsi a una breve camminata da Palermo, da dove un generale un po’ ardito avrebbe potuto condurre una colonna a sorprenderli; e guai se anche un’altra colonna mandata a sbarcare a Castellamare, per Alcamo e Partinico, per la via stessa che essi avevano fatta, fosse giunta alle loro spalle.

Invece quella notte passò quieta, senz’altra noia che d’un po’ di pioggia. Ma all’alba, che bella sveglia! Da un’altura di quell’anfiteatro scese sul campo improvviso un suon di banda, che parve venuta dall’infinito a far una melodia nota, ma tal quale come laggiù non gustata mai da nessuno in nessun teatro del mondo, e nemmeno in cuore dal Verdi, che l’aveva creata. Era il suo bolero dei Vespri Siciliani. Benedetto lui! L’anima sua tornava a soffiare l’entusiasmo in quei cuori, in quel luogo, come già sul mare da Quarto a Marsala coi canti dei Masnadieri, col coro del Nabucco «Va’ pensiero sull’ali dorate.» Una voce di tenore limpida e potente s’accordò subito ai suoni, adattandovi i bei versi del Giovanni da Procida