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Al Passo di Renda 145

baldi, rubando le casse pubbliche e assassinando gente. Aveva fino incendiato il villaggio di Calamina. E tutto aveva fatto in nome di certa sua giustizia che gli pareva d’aver diritto d’esercitare; anzi, se ne gloriava. I Siciliani che dall’esiglio erano tornati nell’isola con Garibaldi, dicevano che colui doveva essere Maffioso; e spiegavano ai compagni la natura d’una tenebrosa società, che aveva le sue fila per tutta l’isola, in alto, in basso, nelle città, nelle campagne, dappertutto. Piace rammentare che i continentali scusavano l’isola, narrando che anche da loro vi erano state compagnie di malfattori che avevano esercitato una giustizia di loro genio, favoriti dalle plebi delle campagne e anche dai ricchi delle città, quando le leggi parevano torte contro la giustizia vera; e dicevano che quelli erano passati e che sarebbe passata anche la Maffia.1

Quel Santo Mele il giorno appresso sparì. Forse la Maffia potentissima gli aveva dato aiuto fino in quell’accampamento.

Noiosissima cosa, nel pomeriggio di quel giorno cominciò a piovere. Senza tende, senza coperte era un gran brutto stare; ma il campo non si attristò per questo; anzi, vi fu un momento di gaiezza fin troppa. Era stato macellato un gran bove donato da un Comune là presso, e

  1. Un mese di poi, mentre la Divisione Türr marciava nell’interno dell’isola, Santo Mele s’abbattè a passarvi in mezzo per Villafrati, con liti gruppo de’ suoi. Riconosciuto, arrestato, messo sotto Consiglio di guerra per brigante, si difese fieramente, dichiarando d’aver incendiato e ucciso per la libertà. E mostrò certificati di municipii che di lui dicevano gloria. Due giorni durò il Consiglio, poi finì mandando quel ribaldo a Palermo, dove un altro Consiglio lo fece fucilare.