Pagina:Storia dei Mille.djvu/26

Da Wikisource.
12 Storia dei Mille narrata ai giovinetti

di Garibaldi e l’ingegno suo di guerra e la sua figura, avrebbero potuto trovar la vittoria.



In quei giorni venne come folgore una lieta notizia: a Palermo era scoppiata l’insurrezione. E si diceva che all’alba del 4 aprile, da un convento chiamato della Gancia, un Francesco Riso, giovane di 28 anni, aveva con alcuni compagni data la mossa, e che un Salvatore La Placa s’era azzuffato con la milizia, in certi quartieri della città abitati da pescatori e retaioli. Ma la gioia si cambiò in ira quando, subito appresso, oggi una voce, domani l’altra, si seppe che quei generosi erano stati oppressi; che le squadre di campagna, già scese vicino a Palermo, s’erano ritirate nei monti; che tredici compagni di Riso, oltre quelli morti combattendo, erano stati fucilati; che egli giaceva pieno di ferite e prigioniero; che lo stato d’assedio era proclamato, e che erano arrestati il padre di Riso con altri cittadini cospicui di Palermo. Dunque la rivoluzione era domata! No, non doveva essere: l’Italia superiore la faceva sua propria.

Da quel momento tutti cominciarono a chiedere che facesse Garibaldi, e se non si movesse, e se non era ancora andato, e perchè non fosse ancora laggiù. E non dicevano già, che dovesse moversi il governo di Vittorio Emanuele; tutti avevano il sentimento del rischio cui si sarebbe messo d’aver mezza Europa addosso: a tutti bastava che si movesse lui, Garibaldi, che quanto a gente per seguirlo ce ne sarebbe stata anche troppa. Ma si sentiva che bisognava far presto, perchè il Governo borbonico