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Pagina:Storia dei Mille.djvu/30

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16 Storia dei Mille narrata ai giovinetti

nella vita italiana. Quante energie, quanta luce, quante virtù, aggiunte all’anima della nazione! Queste cose non si pensavano per l’appunto così, ma si sentivano vagamente, come nell’adolescenza si sentono le prime aure dell’amore cui si va incontro, e sono la vita.

Ma intanto, quale rischio l’andarvi! Certo Garibaldi si sarebbe gettato su qualche costa, lontano dalle città marittime, dove non fossero milizie, per non farsi opprimere appena giunto. E da quella costa si sarebbe mosso a trovar nell’interno sui monti qualche posizione forte, per chiamarvi a sè gli insorti e fare un esercito tale da poter affrontare in campo quello dei regi, o magari piombar sulla capitale. Ma quanti scontri avrebbe dovuto sostenere nelle sue prime marcie, e chi mai sapeva in quali condizioni? E se gli fosse avvenuto di perdere? Pazienza i morti: ma i feriti, in che mani sarebbero rimasti? Come li avrebbe trattati il nemico, offeso per quell’assalto che gli veniva da gente di fuori? E chi fosse riuscito a salvarsi da quelle mani, in quali boschi, in quali tane, senza cure, solo, disperato sarebbe andato a finire? Si fantasticavano cose orrende. Eppure l’aria del tempo, la fede in Garibaldi e una certa voluttà di andare a patire per una grande idea, faceva vincere anche quelle tetre preoccupazioni.

E appunto, qual era allora lo spirito dell’esercito del Borbone? A sentir gli esuli siciliani e napolitani, in quell’esercito v’erano dei generali, dei colonnelli, persin dei vecchi capitani, che sapevano bene quanta era stata la gloria dei loro padri. Da fanciulli li avevano visti tornare dalle guerre napoleoniche di Spagna e di Russia, dopo aver empito il mondo delle loro geste e dei loro