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62 Storia dei Mille narrata ai giovinetti

a rivivere del loro passato, dei quali non si seppe più se fossero vivi o morti.

Ma Daniele Piccinini che più di lui e più del Tasca personificava in sè il bergamasco cittadino insieme e valligiano e di monte, come rimase vivo e presente a tutto il mondo garibaldino! Nato a Pradalunga in Val Seriana, da una famiglia radicata tra le rocce e ricca e forte ivi come una volta quelle dei feudatari, ma però tutta di virtù patriarcali; candido a trent’anni come un adolescente, valoroso come un personaggio dei Reali di Francia, allora ancor molto letti nelle campagne; in quel maggio era disceso dal suo paesello a vedere se non si tornasse a far qualche cosa per l’Italia, e aveva dato il suo nome di tono guerriero antico alla compagnia bergamasca. Fu lui quello che poi a Calatafimi, in un momento che Garibaldi si trovò tanto vicino ai nemici da farsi colpire fino da un colpo di pietra, gli si lanciò quasi irato davanti, e coprendolo col suo pastrano da pioggia onde la camicia rossa non lo facesse più far da bersaglio, osava gridargli che non a lui stava bene andare a farsi uccidere come un soldato qualunque. «Chi è quel giovane?» domandò allora Garibaldi, guardando quella bella figura. «Piccinini di Bergamo,» gli fu risposto. Il Generale non se ne scordò più, nè il Piccinini lasciò più di seguirlo. Due anni dipoi, in Aspromonte, ruppe la spada di capitano per non consegnarla intera al capitano dei bersaglieri che lo faceva prigioniero: prigioniero con gli altri compagni garibaldini stipati nel forte di Bard in Val d’Aosta, si rannicchiò in una cannoniera dove stette quasi notte giorno a languire di nostalgia e di dolore civile. Poi nel 1866 volle far la guerra del Trentino da