Pagina:Storia dei Mille.djvu/90

Da Wikisource.
76 Storia dei Mille narrata ai giovinetti

condotti da Tommaso di Savoia erano giunti in quel golfo su d’una flotta di galee e tartane. Adesso là nel castello non faceva più nulla, e Garibaldi se la prese.

Il giorno appresso, vennero da Orbetello tre altri cannoni, uno dei quali non guari migliore della colubrina, ma due erano di bronzo bellissimi, alla francese, fusi nel 1802. Sulla fascia della culatta d’uno si leggeva «L’Ardito» su quella dell’altro «Il Giocoso». I nomi piacquero; convenivano agli umori di quella gente. Quei cannoni non avevano affusto, ma laggiù in Sicilia qualcuno avrebbe saputo incavalcarli, e per questo c’erano tra i Mille i palermitani Giuseppe Orlando e Achille Campo, macchinisti valenti, i quali difatti fecero poi tutto alla meglio sei giorni appresso.

Ma chi aveva dato quei cannoni?

Garibaldi aveva mandato il colonnello Türr, al Comandante della fortezza di Orbetello con questo scritto:

«Credete a tutto quanto vi dirà il mio aiutante di campo, colonnello Türr, ed aiutateci con tutti i mezzi vostri, per la spedizione che intraprendo per la gloria del nostro Re Vittorio Emanuele e per la grandezza della patria.»

Il comandante, che era un tenente-colonnello Giorgini, quando lesse quel foglio si dovette sentire un grande schianto al cuore. L’aiutante di campo di Garibaldi gli chiedeva delle munizioni! Impossibile.

— Ella è militare, — disse al Türr — e sa che cosa significhi consegnare le armi e le munizioni di una fortezza, senza ordine dei capi.

— Ma se gli ordini li riceveste dal Re? — rispose il Türr — basterà che gli inviate questa mia lettera.