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che Feva re dei Rugi: il quale Feleteo a quei giorni abitava la riva ulteriore del Danubio, che lo stesso Danubio separa dai confini del Norico. Appunto su questi confini e-

    d’un barbaro, il talento e l’avvedutezza d’un Italiano. Sceso dalle alpi Noriche con un esercito di Rugi, di Eruli, di Turcilingi comparve in un subito sui campi della Liguria: abbattè, saccheggiò, arse Pavia, prese Oreste generale Romano e l’uccise a Piacenza: passò colla rapidità del fulmine a Roma, e per lui l’Impero finì. Cadutogli in mano l’ultimo Romolo il confinò a Lucullano, senza privarlo delle dolcezze della vita; e con ciò diè a divedere che la prudenza politica può associarsi alla generosità del cuore. Le sue genti erano barbare; nè il loro generale avrebbe potuto dominarle frenando gl’impeti della loro ferocia; perciò le città d’Italia disparvero, perirono gli abitatori, la terza parte dei terreni fu data in preda ai soldati. Ma fra tanti orrori si vide sempre risplendere l’alto animo di Odoacre. Il suo governo pei popoli non fu crudele: la Chiesa, quantunque fosse Ariano, per lui non gemè: non un papa, non uno scrittore alzò lamenti contro alcuna sua manifesta violenza. Signore di tutta l’Italia stendeasi alla Dalmazia ed al Norico; e benchè re di fatto, per altro non ambivane il titolo. Egli seppe farsi rispettar dall’Oriente: per vincerlo ci voleano non i soldati Romani; ma quindici anni di soggiorno in Italia, e un re Ostrogoto con genti d’intera selvatichezza. Le sponde dell’Isonzo rammentano tuttora la sua prima sconfitta; nelle campagne Aquilejesi ancora si scavano le ossa e gli arnesi de’ suoi guerrieri: nè Verona potè ripararlo, nè Ravenna stessa sede fortissima del suo dominio: grande però fu la costanza di sua difesa; ma la fame potè più che il valore; nel caso estremo trattò di pa-