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98 LIBRO SECONDO — 1776-83.

Usavano i re di Napoli, come è noto per le nostre istorie, presentare al papa in ogni anno la chinea (cavallo bianco riccamente bardato) e settemila ducati d’oro. La cerimonia era pomposa, perciocchè un ambasciatore nel 29 di giugno, giorno di san Pietro, offeriva quel dono in nome del re al pontefice, che, negli atrii della basilica vaticana ricevendolo, diceva: «essere il censo a lui dovuto per diretto dominio sul regno delle due Sicilie.» In quell’anno, mentre il principe Colonna gran contestabile del regno e ambasciatore del re cavalcava alla basilica, disputazione di precedenza tra i servi dell’ambasciatore di Spagna e del governatore di Roma, produsse nel popolo ivi adunato moti di calca e romori di voci che subito quietarono. Pare, terminata la cerimonia; l’ambasciatore riferì le popolari turbolenze al re che, per dispaccio del suo ministro. rispose:

«Le controversie alla occasione della chinea, hanno afflitto l’animo divoto del re, perchè a cagione de’ luoghi, del tempo, delle circostanze potevano apportare disgustose conseguenze da turbare la quiete de’ due sovrani e de due stati. E poichè l’esempio ha dimostrato che un atto di sua mera divozione, qual’è il presente della chinea, può essere motivo a scandalo ed a discordie, egli ha deliberato e risoluto che la cerimonia cessi per lo avvenire, e che a quell’atto di sua divozione verso i santi apostoli egli adempisca quando glie ne venga desiderio per mezzo del suo agente o ministro. Gli esempii, la ragione, le riflessioni, le cautele, l’umanità, la rettitudine, hanno concorso a muovere il regio animo a tale deliberazione, di quell’atto dipendendo unicamente la forma dalla sovrana volontà, e dall’impulso di sua pietà, e da religiosa compiacenza. Questi sensi di figliale venerazione verso il capo supremo della chiesa sieno comunicati alla corte di Roma, Da Napoli 29 di luglio del 1776.»

Il pontefice, dimandata fa rivocazione del foglio, e non ottenuta, protestò in contrario. E sebbene da quel giorno fosse cessato il vergognoso tributo, egli nella festa di san Pietro ne faceva lamentanza e protestazione al governo di Napoli. Anni appresso il re privatamente offerse settemila ducati d’oro senza chinea o cerimonia, come dono di principe divoto alla chiesa; e il papa rifiutandoli dichiarò più che mai solennemente le sue ragioni, e la disobbedienza (così la diceva) della corte di Napoli.

XIV. Le buone leggi di Giuseppe e di Leopoldo a pro de’ popoli, narrate dalla fama, commendate da’ sapienti, lodatissime dalla regina di Napoli sorella di que’ principi, stimolando a certa gloria per fin l’animo svagato del re, agevolarono al ministro Tanucci e ad altri egregi del tempo l’erto cammino della civiltà. Erano in officio il Palmieri, il Caracciolo, e de Gennaro, e Galliani, ed altri