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158 LIBRO TERZO — 1794.

testimonii, benchè fossero spie a pagamento, valevano; nè a’ servi, figliuoli, a’ più stretti parenti era interdetto l’uffizio di testimonio. Il processo, compiuto in secreto, passava a’ difensori, magistrati eletti dal re; le difese producevansi scritte; nè all’accusato era concesso il parlare; il giudizio spedito a porte chiuse; la relazione dell’inquisitore valeva quanto il processo, non che fosse vietato a’ giudici leggere nei volumi, ma nol comportava la strettezza del tempo, perchè ad horas; era inquisitore nel processo lo scrivano; nel giudizio, un magistrato scelto tra i peggiori, quale il Vanni nel tempo di cui scrivo, poi Fiore, Guidobaldi, Speciale, Sommavano i giudici numero dispari per torre il benefizio della parità. Le pene, severissime: morte, ergastolo, esilio; le sentenze inappellabili; l’effetto, immediato; l’infamia sempre ingiunta, non mai patita.

XVI. Compiuto il processo de’ rei di stato, il procurator fiscale diceva chiare le pruove contro parecchi de’ prigioni, e preparato il proseguimento per gli altri carcerati, o fuggitivi, o nascosti, o fortunati che sebben rei godevano di libertà e d’impieghi; avvegnachè (ci soggiugneva) teneva pruove certe per ventimila colpevoli, e sospetti per cinquantamila. A’ quali avvisi ed istanze il re prescrisse la giunta di stato, ad modum belli e ad horas, giudicasse i rei che il procurator della legge indicava; e il tribunale adunato il 16 di settembre, sciolto il 3 di ottobre, senza intermissioni e senza riposo a’ giudici fuor che il necessario alla vita, giudicò. Di cinquanta accusati, con processo di centoventiquattro volumi, il procurator fiscale dimandò pena di morte per trenta, prima da cruciarsi con la tortura ad effetto di conoscere i complici; sospensione di giudizio per altri diciannove, ma da collocarsi co’ primi trenta; dell’ultimo non parlò. Questi non ostante, fu giudicato in primo luogo, e confinato a vita nell’isola di Tremiti; egli era chiamato Pietro de Falco, capo ed anima della congiura, fellone alla setta e svelatore de’ settarii. Poscia il tribunale condannò tre alla morte, tre alle galere, venti al confino, tredici a pene minori; mandò liberi gli ultimi dieci. Era tra’ confinati il duca di Accadia; e ’l re, mantenendo i privilegi de’ sedili, fece assistere al giudizio due nobili, col nome di pari; ultimo rispetto alle antiche leggi. La sentenza che puniva i congiurati taceva della congiura, vergognando castigare acerbamente adunanze secrete di giovanetti, ardenti di amore di patria, inesperti del mondo, senza ricchezze, o fama, o potenza, o audacia, condizioni necessarie a novità di stato; ed avversi alle malvagità ed a’ malvagi, che fanno il primo nerbo de’ rivolgimenti; perciò non altre colpe che voti, discorsi, speranze. Questa era la congiura per la quale tre morivano, molti andavano a dure pene, tutti pericolavano; e si spegneva la morale pubblica, si creavano parti e nemicizie, cominciava