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268 LIBRO QUINTO — 1799.

presentar la capitale ed il regno, scegliere tra loro i ministri del municipio napoletano, amministrare le entrate della città, concedere cittadinanza agli stranieri che la meritassero, giudicare in alcune cause. In tal modo quelle brigate, piacevoli ed oziose, mutandosi in corpi dello stato, si congregavano in luoghi chiusi, e magnifici quanto volevano ricchezza e nobiltà delle famiglie. Le case di fresco nobili, o le altre di antica ma scordata grandezza dimandavano l’ammissione in qualcuno de’ cinque seggi, però che solo in essi stava il registro e ’l documento della signoria. I popolani, sospettosi della soverchia potenza de’ nobili, chiesero ed ottennero un seggio detto del Popolo, uguale ne’ privilegi, fuorchè di nobiltà, agli altri cinque. Ed allora un sindaco e sei eletti, uno per seggio, componevano la municipalità di Napoli; con un consiglio di ventinove, scelti nelle congreghe medesime; rammentando col numero i primi ventinove seggi della città.

Perciò Ferdinando IV, scordando i giuramenti de’ re che lo avevano preceduto al trono, e del padre, e suoi, annientò per la citata legge del 1799 il corpo municipale della città, la rappresentanza del regno, la nobiltà e signoria delle famiglie; dovendo d’allora innanzi essere una l’autorità nello stato, quella che viene dal trono; una la condizione de’ soggetti, la servitù; semplici le regole di governo, la tirannide. Pretesto a quegli eccessi fu il diritto di conquista; il re dicendo il regno riconquistato. Ma poichè da quel suo diritto discendeva la legittimità della conquista francese, ed uguale diritto nel conquistatore di ordinare a repubblica lo stato, e ’l debito e la innocenza de’ vinti all’obbedienza, e la ingiustizia e illegalità di castigare popolo innocente: il re medesimo, nel preambolo della legge di maestà, dichiarava non aver mai perduto il suo reame; essere stato, benchè in Sicilia, come sul trono di Napoli; dover quindi riguardare ogni atto de’ sudditi, se contrario a’ doveri antichi, tradimento, e se offensivo della regale autorità, ribellione. Egli era nel giorno istesso (però che le due leggi avevano la stessa data) conquistatore e vinto, fuggitivo e presente, privato del regno e possessore.

Da questi principi egli trasse le ordinanze per la giunta di stato, dichiarando rei di maestà, in primo grado, coloro che armati contro il popolo diedero ajuto a’ Francesi per entrare in città o nel regno; coloro che tolsero di mano a’ lazzari il castello Santelmo; coloro che ordirono col nemico secrete pratiche dopo l’armistizio del vicario generale Pignatelli. E rei di morte i magistrati primarii della repubblica, rappresentanti del governo, rappresentanti del popolo, ministri, generali, giudici dell’alta commissione militare, giudici del tribunale rivoluzionario. E rei di morte i combattenti contro le armi del re, guidate dal cardinal Ruffo. E reo di morte