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LIBRO SESTO — 1806. 7

Dopo L’accordo Peseara e Capua furono date ai Francesi; Civitella che per virtù del comandante colonnello Woed ricusò di obbedire, assediata pochi giorni, bloccata tre mesi, per estrema povertà di vettovaglie si arrese, e fu da’ vincitori smurata. Gaeta si apprestò alle difese, perciocchè il principe Philipstadt, che teneva il governo, rispose alla reggenza ch’egli disobbediva al comando di lei, per comandi maggiori e onor di guerra.

VIII. A’ 14 febbrajo le prime schiere francesi occuparono la città, ma l’ingresso preparato, magnifico per suoni militari, vesti ed insegne, fu guasto da stemperata pioggia. Il qual temporale sforzò a tornare nel porto sette navi, che il giorno innanzi avevano sciolto per la Sicilia, cariche di ricchezze e di persone, che per paurosa coscienza, o partigiani de Borboni, o timidi o in altro modo miseri ed ambiziosi spatriavano, La mala fama di alcuni, sventura di tutti, fece che la polizia avutili in potere li chiudesse in carcere.

In quel giorno istesso il marchese Vanni morì di volontaria morte. Egli di natali onesti, tristamente ambizioso, delatore nelle cause di stato, e di poi barbaro inquisitore ed iniquo giudice, avendo tratto dal male oprare potestà, titoli e doni, poi abbandono e dispregio, bramò, allo avvicinarsi dell’esercito francese, fuggire in Sicilia; e perciò ricordando alla regina i suoi servigi, chiese su le regie navi un ricovero da colei negatogli: cosicchè dolente della ingratitudine, tediato della vita, aspettò che il nemico giugnesse in città, scrisse il seguente foglio, e si uccise. «L’ingratitudine di una corte perfida, l’avvicinamento di un nemico terribile, la mancanza di asilo, mi han determinato a togliermi la vita che ormai mi è di peso. Il mio esempio serva a render saggi gli altri inquisitori di stato.» Onesti sensi che darebbero buona fama a chi gli scrisse, se non venissero da disperato consiglio!

La descritta morte del Vanni, m’invita a riferire due altri casi. Guidobaldi (le cui nequizie ho rammentato nel precedente libro), depresso all’entrar del Francesi, maltrattato, prigione, ottenne in mercè di preghiere e per pietà di canuta vecchiezza vivere confinato in un piccolo villaggio degli Abruzzi ch’era sua patria; ma non ne aveva le dolcezze, perchè abbandonato sin dall’infanzia; ed erano altrove famiglia, magione, ricchezze, rimembranze di vita: poco tempo vi dimorò come in carcere, e disperatamente mori.

Più tristo del Guidobaldi era stato nel 1799 il ferocissimo Speciale. Viveva in Sicilia sua patria, dispregiato; allorchè da’ disordini della coscienza turbato l’intelletto, divenne maniaco, furioso, soffrì tutti i dolori e le ingiurie di quel misero stato: morì, e tanto odio pubblico lo accompagnò nel sepolcro che i suoi congiunti,