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122 LIBRO SETTIMO — 1814.

tutte incontro al Po; che dunque il più inoltrarsi sopra Piacenza sarebbe stata occasione ed invito al vicerè di assaltare alle spalle i Napoletani, separarli dalla loro base, romperli e ritornare a’ suoi campi per le vie di Piacenza e Borgoforte. Fra le due opposte sentenze Bentinck, solamente inteso ad espugnar Genova, si mostrava dell’avviso di Bellegarde, non più per proprio ingegno che per diffidanza e avversione a Gioacchino.

La ragion militare stava dalla parte di Murat; ma stavano contro lui le apparenze e i sospetti, e perciò le opinioni rimanevano divise, gli eserciti immobili. In quella guerra si palesarono tutti gli errori e i vizii delle alleanze. Bellegarde poteva comunicare con Gioacchino per vie più brevi che di Ravenna o Ferrara, costruendo altri ponti sul Po; ma nol faceva, temendo che le nuove strade aperte a’ soccorsi, servissero al tradimento. Poteva Gioacchino attaccare Piacenza, se veramente ajutato da Bellegarde e da Bentinck, ma sospettava che lo spronassero a quella impresa per nuocere al suo esercito ed alla sua fama. Così Bentinck, alleato del re di Napoli, permetteva che dai Siciliani seco disbarcati si spargesse nell’esercito napoletano un editto del re Ferdinando, che, rammentando le sue ragioni, eccitava i sudditi a ribellar da Gioacchino. E così più in alto l’imperatore d’Austria, che avea promesso sollecite ratifiche al trattato con Napoli, lasciava correre i mesi senza che il ratificasse; e dall’altra parte il re Murat, alleato dell’Austria e della Inghilterra, desiderava il trionfo della Francia, ed attendeva o sperava l’opportunità ricongiungersi a lei. Lo stato d’Italia in quel tempo non era di guerra, ma di politica e d’inganno armato; in ogni atto, in ogni intenzione de’ reggitori de’ regni e degli eserciti o traspariva o si nascondeva un mancamento di fede: i peccati erano universali; ma incerto, la fortuna chi premierebbe.

I popoli, cauti, obbedivano non operavano. Gioacchino facendo dire esser giunto il momento in cui gl’Italiani si unirebbero sotto la stessa insegna, dava agli stati occupati forma ed ordini comuni di governo. Bellegarde, al tempo stesso, avvertiva gl’Italiani essere proponimento de’ re confederati, restituire gli antichi stati al re di Sardegna, alla casa d’Este, al gran duca di Toscana ed al papa. Il vicerè su l’altra sponda del Mincio bandiva le vittorie dell’imperatore Napoleone a Nangis, a Montereau, ed accertava i popoli che le sorti d’Italia stavano in mano alla Francia. E questa Italia in tanti modi insidiata, scontenta del presente, certa di servitù per lo avvenire, tenevasi inquieta, ma tacita. Solamente in Napoli, al mutar di politica, al vedere i porti e i mercati abbondare di merci inglesi, rare e desiderate per otto anni, cambiare co’ prodotti della terra che quasi senza prezzo marcivano, andare in Sicilia e venirne senza pena o pericolo, sentire il proprio re e le proprie schiere potenti e