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LIBRO SETTIMO — 1814. 131

e bene spesso assoluto. Perciò la civiltà nuova, che poco fa copriva la quasi intera Europa, serbava immagine di sè nel solo regno di Napoli.

LXVIII. Gioacchino, riparate come poteva le sue cose d’Italia, e lasciate nelle Marche due legioni sotto l’impero del general Carascosa governatore di quelle province, tornò in Napoli. Furono grandi le feste, talune prescritte, altre suggerite dall’adulazione, tutte ingannevoli; perocchè la caduta di Bonaparte e l’impeto del vecchio sopra il nuovo, lasciando Gioacchino isolato e straniero alla politica del tempo, suscitava ne’ popoli sospetto che le sorti dei regno sarebbero in breve mutate. Ed indi a poco, in conferma di tali dubbiezze si lessero gli editti del general Bellegarde, nunzii del ritorno dell’antica Lombardia all’impero d’Austria; e i trattati di pace fermati a Parigi il 30 di maggio, ne’ quali, non facendo motto del re di Napoli, si convocava congresso di ambasciatori a Vienna per i casi dubbii di dominio. Pompeggiava intanto ne’ discorsi e negli editti de’ più potenti re la legittimità, parola ne’ primi tempi variamente intesa; ma poichè fu da principi definita la distruttrice delle male opere di cinque lustri, conservatrice delle buone, e sopra le vaste rovine della rivoluzione restauratrice benigna delle precedenti cose e persone, era parola e principio pericoloso e contrario a Gioacchino. Egli nominò suoi ambasciatori nel congresso il duca di Campochiaro ed il principe di Cariati; e ad occasione vi spediva generali ed altri personaggi di fama e d’ingegno.

Ma volse i suoi maggiori pensieri alle cose interne; reputando che più de’ maneggi e de’ discorsi valer gli dovesse il voto de’ soggetti e la forza dell’esercito, in tempi ne’ quali menavasi vanto dell’amore de’ popoli e della pace. Raccolse in quattro adunanze i migliori ingegni napoletani, e lor disse che per gli ultimi avvenimenti acquistata da noi piena indipendenza politica, era suo debito riordinare il regno senza o soggezione o simiglianza o gratitudine ad altro stato; così adombrando le tollerate catene per nove anni. Chiamava in ajuto il consiglio de’ più sapienti e più amanti di patria, che intendessero a riformare i codici, la finanza, l’amministrazione, l’esercito. Pregava di non correre ciecamente con la fortuna verso il passato, ma considerare che le civili instituzioni della rivoluzione di Francia e dell’impero erano frutto in gran parte della sapienza de’ secoli.

E prima che il consiglio per la finanza proponesse la riforma di alcun tributo, egli di parecchi più gravi alleviò il peso. Per nuove ordinanze giovò al commercio esterno, così aggradendo ai suoi popoli ed agli Inglesi, che soli trafficavano ne’ nostri porti; fece libero coll’abolizione del cabottagio (tal era il nome di un sistema modestissimo di dogana marittima) il commercio interno; fece libera