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136 LIBRO SETTIMO — 1814.

sforzata e terribile, con la bocca in atto di profferir parola, e la mano stesa verso il laccio di un campanello a cui non giungeva; e sì che a vederla dicevasi che non le fosse bastata la forza e la voce a chiamar soccorso. Fu creduto che ella morisse di dolore, perchè in quel tempo le sorti di Gioacchino erano, nel congresso, più delle sue fortunate; e ‘l giorno innanzi i ministri di lei rammentando le ragioni della casa Borbonica al trono di Napoli, ne avevano avuto in risposta l’acerbo ricordo delle esercitate crudeltà del 99; ed a lei, poche ore innanzi del morire, indiscreto cortigiano avea riferito (vero o falso, ma in Vienna divolgato) il motto dell’imperatore di Russia: «Non potersi, or che si curava dei popoli, rendere al trono di Napoli un re carnefice (Ferdinando}.» Visse quella regina anni più che sessantadue, de’ quali quarantasei sul trono. Di lei rammenta la istoria atti di grandezza e di crudeltà, avendo per natura animo eccelso e tirannico; onorata nelle reggie straniere, superba nella propria reggia, splendida, ingegnosa, fu ne’ primi anni di regno ammirata da’ soggetti; ma dipoi, per le rivoluzioni di Francia, destati in lei sensi di vendetta e di timore, divenne ingiusta, spietata, persecutrice di virtù, incitatrice e sostegno alle più turpi azioni che giovassero al dispotismo. Ella suscitò nel marito i primi sospetti contro i sudditi; ella compose lo spionaggio, la polizia, i tribunali di stato; per consiglio di lei le ingiuste guerre, le finte paci, giuramenti e spergiuri; da lei gran parte delle crudeltà del 99, da lei traevano principio ed alimento le discordie civili che per otto anni travagliarono il regno; in lei trovavano speranza e adempimento le ambizioni di fra Diavolo, Canosa, Guarriglia ed altri tristi. Perciò di vita colpevole fu la fine non pianta; e poichè morì in mezzo al congresso de’ re, l’imperatore d’Austria, non volendo annebbiare lo splendore e la gioja della città, vietò il bruno, e la fortuna negò alla sua memoria per fino le apparenze del dolore. Ma nella reggia di Murat, la sua dignità non comportando che la sentita allegrezza per la morte della nemica trasparisse, i due sovrani si ritirarono, e la festa si sciolse.

Altri più prosperi annunzii pervennero a Gioacchino. In certe nuove condizioni di alleanza fermate a Troyes prima che Bonaparte cadesse, l’Austria, la Russia, la Prussia e la Inghilterra pattovirono di dare in Italia al re Ferdinando di Sicilia il controcambio dei perduti dominii di Napoli. In altro atto di quei potentati, conchiuso più tardi in Chaumont, erano confermati i patti dell’alleanza dell’Austria con Gioacchino. E poi nel congresso di Vienna, contrastando quei re su la Polonia, stando per una sentenza Russia e Prussia, per l’altra l’Austria, Francia ed Inghilterra; e le due parti lusingando i potentati stranieri per aversegli amici, il re di Napoli chiesto di lega dalla Russia per ambasciata, dall’Austria per lettere di Fran-