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172 LIBRO OTTAVO — 1815.

stento negli Abruzzi, eppure la potenza francese signoreggiava in quel tempo l’Italia ed atterriva l’Europa.

Il re Ferdinando aveva perduto il regno per le armi, armi che lo acquistarono a Carlo suo genitore; la sovranità non migra, non migrano le nazioni, perchè l’una e l’altre sono legate al suolo della patria comune ed a’ cittadini. Ferdinando III di Sicilia era re straniero a’ Napoletani, la difesa di Begani così legittima come quella di Philipstad; e Begani, benchè nemico, innocente. Se vi ha macchia in lui è il non avere atteso nel difendere la fortezza l’estremità di forza o di fame.

Di tre comandanti due spregiati benchè potenti, Begani esule, venerato, dimostrano quale fosse il voto del mondo, e quanto folle la speranza de’ re di assegnare a volontà loro la vergogna o l’onore.

VI. Cominciava il riordinamento del regno dalla finanza pubblica. Il re avea contratto molti obblighi nel congresso di Vienna: doveva all’Austria ventisei milioni di franchi, prezzo della conquista, al principe Eugenio cinque milioni per indiscreto dono, e nove milioni a’ ministri potenti del congresso per mance di allegrezza, o per comprato favore; e nutrire l’esercito tedesco, il siciliano e ’l molto che avanzava del murattiano; volevasi mercede agli usciti, pane a’ fedeli, premio a’ partigiani, abbondanza a sè stessi. Ma così ampia era la finanza decennale che bastava a tanti bisogni, ora viepiù che il credito ristorato per la pace europea prometteva facile ricchezza al gran libro, e che all’ingegno avido dell’Agar la sottile parsimonia del Medici succedeva. Furono perciò confermati i sistemi finanzieri dei decennio, la legge delle patenti abolita; la quale gravezza risguardando le industrie, i mestieri, le arti, una gran massa di ricchezze e rendite sfuggì dalla finanza pubblica, e ne fu cagione la ignoranza delle dottrine economiche ed i vecchi usi ed errori del ministro.

Si restituirono agli usciti, poi rimpatriati con Ferdinando, i loro beni, ancorchè nel decennio venduti, e l’erario richiamò i doni di Giuseppe e Gioacchino; le quali forzate restituzioni produssero scontento a molti e talvolta vitupero al governo. Erano fra i donatarii gli orfani figli del marchese Palmieri, giustiziato nel 1807 qual cospiratore contro Giuseppe a pro di Ferdinando; le spese del giudizio furono grandi, i figliuoli miseramente eredi dovevano pagarle, ma Gioacchino le donò al pianto supplichevole della vedova. Ora la nuova finanza richiedeva quel dono; e colei, pregati senza frutto i ministri, si portò sicura di grazia alla reggia, non più abitata dai re traditi, ma dall’altro che fu cagione del tradimento. Pur le sue lacrime tornarono vane, e l’afflitta famiglia pagò il capestro del padre.

VII. Sopro rendite inscritte si vendevano i beni dello stato, si