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180 LIBRO OTTAVO — 1815.

dine. Le avversità avevano ammollito quell’animo, e prevalendo il timore alla speranza, non osò recarsi a Parigi, si fermò a Tolone.

Scrisse lettere al ministro Fouchè suo amico nelle prosperità, e diceva: «Voi conoscete i motivi ed i casi della guerra d’Italia; or io in Francia offro all’imperatore il mio braccio, ed ho fede che a’ cieli piacerà di ristorare le sventure di re colle fortune di capitano.» Fouchè presentò il foglio a Bonaparte, che richiese qual trattato di pace avesse egli fermato col re di Napoli dopo la guerra dell’anno 14; così ricordando e vendicando le offese. Gioacchino restò in Tolone, venerato da quelle genti, o che fosse pietà della sua sventura, o memoria dell’antica grandezza, o sospetto di novelle fortune.

Pur quel molesto riposo gli fu turbato dopo i fatti di Vaterloo. Tolone, Nimes. Marsiglia si videro agitate da furie civili e religiose; i partigiani dell’impero trucidati, divise le spoglie. Gioacchino si nascose, e mandò lettere allo stesso Fouchè, che, poco fa ministro di Bonaparte ora di Luigi, serbava illesa l’autorità e la potenza presso re nemici, fra le rovine de’ regni. Gioacchino lo pregava di un passaporto per la Inghilterra, promettendo vivere da privato sottomesso alle leggi. E così scrisse a Maceroni suo uffiziale di ordinanza quando regnava, rimastogli fido, e per ingegno e fortuna noto a’ re alleati. Ma Fouchè non rispondeva, e Maceroni, venuto in sospetto della polizia di Francia, fu imprigionato.

Peggiori ogni dì si facevano le sorti dell’infelice Murat: cercato da’ manigoldi di Tolone, insidiato dal marchese La Riviere, che anni prima scampato per suo favore dal supplizio, ora gli rendeva ingratamente morte per vita; scrisse lettere al re di Francia non superbe nè abbiette, ma da re profugo ed infelice, e le mandò a Fouchè onde le appresentasse alle regie mani; il foglio al re non aveva data per non palesare l asilo e non mentirlo; quello al ministro diceva: dall’oscuro abisso del mio carcere, nè altro di miserevole, vietandolo il regale orgoglio. Nulla ottenne per que’ prieghi, che l’astuto ministro non rispose, e il re pur tacque. Misero e disperato deliberò di recarsi a Parigi e fidare le sue sorti a’ re collegati memore del cinto diadema, e de’ fasti di guerra e de’ confidenti colloquii con que’ re, e delle tante volte distese mani in pegno di amicizia e di fede: egli sperava nobile accoglimento e salvezza. Non imprese il cammino di terra per evitare le strade ancora bagnate del sangue del maresciallo Brune; fece noleggiare una nave che lo portasse ad Havre de Gràce, donde senza periglio poteva recarsi a Parigi.

Fu scelta per lo imbarco spiaggia recondita e molta notte; ma fosse errore a caso, andò la nave in altro luogo, ed egli dopo lungo aspettare e cercarla, vedendo che spuntava la prima luce, andò