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228 LIBRO NONO — 1820.

sfrenate, se ne presagiva la sorte, La reggia doppiò le guardie; le pattuglie in maggior numero esploravano la città; le milizie stavano nei quartieri a riserva e spiate. Nel qual tempo giunsero lettere al re del general Nunziante, che dopo breve racconto dell’animo avverso delle sue schiere, diceva: «Sire, la costituzione è desiderio universale del vostro popolo, il nostro opporre sarà vano; io prego V. M. di concederla.» Il re non sospettava la fede dello scrivente, che nato da parenti oscuri, e su levato fra le bruttare delle discordie civili, lo aveva seguitato costante nelle varie fortune, e per questo merito e per grazia era pervenuto agli alti gradi nell’esercito, agli onori ed alle ricchezze. Quel foglio aggiunse mestizia e sbigottimento; ma pure le assicurazioni del Carascosa, di sommettere i sollevati per accordi o per guerra, sostenevano le speranze del re, e si aspettava ansiando la mattina del 6, ultimo tempo prefisso alle trame o al combattere.

Nuove sventure precipitavano le dimore. Il generale Guglielmo Pepe, già insospettito come ho detto innanzi, fu indotto a credere, per industria di alcuni settarii e per foga del proprio ingegno, che il governo volesse stringerlo in carcere; ed egli non avesse scampo che in Monteforte: decise la fuga. Chiamò seguace o compagno il general Napoletani, e insieme, a notte piena, nei quartieri del Ponte della Maddalena assembrando uffiziali e soldati, col comando, colle lusinghe, spinsero a diserzione altro reggimento di cavalleria e parecchie compagnie di fanti. Se ne spande la nuova nella città e nella reggia. Ed allora cinque settarii andarono agli appartamenti del re, dicendo scopertamente ai custodi ed alle guardie essere ambasciatori di causa pubblica venuti a parlare al re o a qualche grande di corte. Altra volta quell’ora, quel discorso, e la sola audacia dell’ingresso sarebbero state colpe e punite, ma le cose eran mutate sì che un servo frettolosamente portò l’ambasciata, per la quale venne sollecito il duca d’Ascoli, e l’uno dei cinque gli disse: «Siamo delegati per dire al re che la quiete della città non può serbarsi (nè si vorrebbe) se S. M. non concede la bramata costituzione. E settarii e soldati e cittadini e popolo sono in armi, la setta è adunata, tutti attendono, per provvedere ai nostri casi, le risposte del re.» Andrò a prenderle, disse il duca; ed indi a poco tornato, volgendosi a quello istesso che sembrava il primo dell’ambasceria, disse: «S. M. visto il desiderio dei sudditi, avendo già deciso di concedere una costituzione, ora co’ suoi ministri ne consulta i termini per pubblicarla.» E quegli: «Quando sarà pubblicata?... Subito... Ossia?... In due ore.» Un altro dei cinque allora si mosse, e distesa la mano senza far motto al pendaglio dell’oriuolo del duca, inurbanamente glielo tirò di lasca, e volto il quadrante così ch’egli e ’l duca vedessero le ore,