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LIBRO NONO — 1820. 237

essi forse alla dipendenza; ora S. M. e V. A, possono accorciare (e le ne prego) la nostra comune inquietudine. convocando prestamente la rappresentanza nazionale. Io giuro al venerando cospetto di V. A. e di questi primi dello stato, che discenderò dal presente grado assai più lietamente di quel che oggi vi ascendo.»

Il vicario rispose: «S. M. il re, la nazione, noi tutti dobbiamo gratitudine all’ esercito costituzionale, ed a voi suoi degni capi. Il voto pubblico è manifesto per la natura istessa del seguito cambiamento: il governo oggi mutato non aveva il consenso dei soggetti, il trono non era saldo; ora è saldissimo che poggia sulle volontà e gli interessi del popolo. Il re, che nelle sue stanze vi attende, manifesterà egli stesso i suoi sentimenti, io qui i miei. Nato per i decreti della divina mente erede del trono, era mio debito lo studio della monarchia e dei popoli, sì che d’ assai tempo son persuaso essere riposta la stabilità di quella, la felicità di questi (per quanto lice alle cose mondane) nel governo costituzionale. La persuasione politica si convertì, come a principe cristiano si aspettava, in domma religioso, e pensai e penso che non potrei con calma di coscienza reggere un popolo per mio solo ingegno, e per atti della mia sola come che purissima volontà. Se dunque riconosco in voi la salute del regno, la durevole prosperità della mia stirpe, la pace dell’animo, doni sì grandi agguaglierà la mia gratitudine, che non sarà spenta o scemata per mutar di fortuna o di tempi.

Voi, general Pepe, acchetate le inquietudini prodotte da generosi pensieri, esercitate la suprema militare autorità senza ritegno; perocchè i generali han mostrato compiacimento della vostra elevazione da stupendi fatti e singolar merito giustificata, così che le opere han superato il camminar lento degli anni.

In quanto alla costituzione di Spagna, oggi ancor nostra, io giuro (e alzò la voce più di quel che importava l’essere udito) di serbarla illesa, ed all’uopo difenderla col sangue....» Ed altro forse dir voleva, ma la commozione degli astanti vinse rispetto, e da cento evviva il discorso fu rotto.

Poscia que’ cinque, guidati dal vicario, passarono alle stanze dove il re gli attendeva; mentre gli uffiziali di ogni grado si assembravano nel vasto edifizio del ministero di guerra per aspettare il generale e fare omaggio ed atto di obbedienza al nuovo impero. Il re stava disteso sul letto per infermità o infingimento: Pepe avvicinatosi piegò a terra il ginocchio, baciò la mano che da sessant’anni reggea lo scettro, e, sollevatosi, reiterò con più modesta voce le cose poco innanzi dette al figlio. E quei rispose: «Generale, avete reso gran servizio a me ed alla nazione, e però doppiamente ringrazio voi ed i vostri. Impiegate il supremo comando dell’esercito