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LIBRO NONO — 1821. 287

attuale. il re, per organo del suo augusto figlio, convocò i collegi elettorali. Nominati da essi, noi ricevemmo i nostri mandati giusta la forma prescritta dallo stesso monarca. Noi abbiamo esercitate la nostre funzioni conformemente ai nostri poteri, ai giuramenti del re ed ai nostri. Ma la presenza nel regno di un esercito straniero ci mette nella necessità di sospenderle, e ciò maggiormente perchè dietro l’avviso di S. A. R. gli ultimi disastri accaduti nell’esercito rendono impossibile la traslocazione del parlamento, che d’altronde non potrebbe essere costituzionalmente in attività senza il concorso del potere esecutivo. Annunziando questa dolorosa circostanza, noi protestiamo contro la violazione del diritto delle genti, intendiamo di serbar saldi i diritti della nazione e del re, invochiamo la saviezza di S. A. R. e del suo augusto genitore, e rimettiamo la causa del trono e dell’indipendenza nazionale nelle mani di quel Dio che regge i destini de’ monarchi e de popoli.»

XXXVII. Dopo ciò i documenti del parlamento furono portati in più sieuro loco, i deputati si divisero, la sala fu chiusa. Un grande atto di forza de’ re, nella moderna politica delle genti, fu ne’ descritti modi consumato contro popolo debole e male accorto. Altri popoli soggiaceranno, il genio superbo della monarchia se ne allegri. Ma verrà tempo (essendo natura delle forze sfrenate soperchiare ed invadere) che gli stessi potenti re opprimeranno i re minori, e la indegna gioja de’ monarchi volgerà in meritata tristezza; insino a tanto che le forze artifiziali de’ regni distruggendo sè stesse, resterà libera ed operosa la vera forza governativa della società, la civiltà dei popoli: sentenza, che sebbene più volte io abbia manifestata ne miei libri, pure ripeto ad ogni nuova opportunità, però che gran mercede otterrò dalle mie fatiche se potrò persuadere la impotenza, in questi nostri tempi, delle rivoluzioni e delle tirannidi, e che la sola virtù efficace a’ mutamenti durevoli è la civiltà, così che popoli e re dirigano verso questa le azioni e le speranze.

Giunto il dì 23 di quel mese di marzo 1821, l’esercito tedesco entrò in città. S’impadroni dei forti, accampò nelle piazze, si guardava come fra nemici. Non fu nel pubblico allegrezza, nemmen d’uso e di plebe; nè appariva mestizia, o che gli addolorati temessero di mostrarla, o che tutti gli affetti coprisse lo stupore.