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312 LIBRO DECIMO — 1822.

rascosa e Pepe. Fu intimato per editto a settecento e più cittadini di andar volontarii alle prigioni, per essere giudicati secondo le leggi; ovvero uscir dal regno con passaporti liberi, senza indizio di pena: aggiugnendo promesse di benignità agli obbedienti, minacce a’ ritrosi. Erano costoro rei o timidi, che stavano sospettosi ed armati nelle campagne, non entravano le città, mutavano le stanze, sempre liberi, ma di pericolosa libertà. Dopo l’editto, chi secondo il proprio senno restò più guardingo nei boschi, chi fidando all’innocenza si presentò per il giudizio, e cinquecentosessanta chiesero di partire. Ebbero i passaporti promessi; e stabilito il cammino ed il tempo, andò ciascuno nel prefisso giorno al confine del regno. Ma impediti da ministri pontificii, si adunarono nella piccola città di Fondi, ove il seguente giorno i commessi della polizia e le genti d’arme li accerchiarono e condussero prima nella fortezza di Gaeta, poi nelle prigioni della città. La polizia fu lieta e superba del riuscito inganno: parecchi de’ traditi furono giudicati e mandati alla pena; altri ottennero passare in Tunisi o Algeri; regni barbari e soli in questa età civile che dessero cortese rifugio ai fuori usciti. Il maggior numero, non giudicato e non espulso, restò in carcere: materia sofferente della tirannide, poi balestrata in mille guise dagli uomini e dal caso.

Era tanto il numero de’ Napoletani proscritti o fuggiti, che se ne trovava in Italia, in Germania, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in America, nelle città barbare, in Egitto, in Grecia; la più parte miseri, vivendo per fatiche di braccia o di mente; nessuno disceso a’ delitti e alle bassezze che in età corrotta più giovano; nessuno ascritto ad infami bandiere contro i Greci. Si videro casi miserevoli: figliuoli orbati di padre, in paese straniero abbandonati; padri orbati di figli morti di stento; un’intera famiglia (madre, moglie, cinque giovani figli) naufragata; altro cacciato d’ogni città, con moglie inferma in stagione nemica, indossando due bambini, e reggendo il terzo per mano, andare alla ventura, cercando ricovero e pane; altri gettarsi volontario nel Tevere e morire. Ma pure in questa età di tristizie pubbliche abbondarono le virtù private; e spesso gl’infelici trovavano ristoro a’ bisogni, consolazioni alle sventure.

Fra tante spietatezze del governo si vedeva in Napoli con maraviglia impunito il maggior delitto, il tentato più volte regicidio. Vi si credeva in quel tempo, reggendo la menzogna per la sua stessa immanità, ed accreditandola il re ed il figlio, desiderosi di giustificare i passati mancamenti e ’l presente rigore. Ma poscia il silenzio del governo, il tempo, e la rivelatrice delle umane cose palesarono i veri fatti e la ignominia del mendacio e de’ mentitori.

XIX. Chiamato il re a novello congresso in Verona, si destarono