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LIBRO SETTIMO — 1809. 63

zione anglo-sicula scioglieva dall’isola contro noi, più numero e più animo trovava ne’ suoi partigiani, più scoramento ne contrarii. Ma dubbietà, lentezza, scambievoli sospetti tra i ministri di Sicilia e d’Inghilterra ritardavano le mosse. E intanto limperatore Bonaparte che vedeva di sì vasta guerra il capo in Baviera, vi accorse con le schiere francesi, le unì alle alemanne confederate, ne formò un solo esercito, e in tre giorni movendolo pervenne, come per arti ci soleva, a combattere ne campi di Taun con superiorità di soldati. Dopo quella prima battaglia altre due ne vinse in Abensberg ed Eckmühl; combattè intorno a Ratisbona, espugnò la città, divise, disperse l’esercito nemico, e andò in gran possa sopra Vienna, che subito (a’ 12 di maggio del 1809) si arrese. Diede all’esercito breve riposo; e in quel tempo arrivarono nuove squadre, ed il resto della guerra dalle due parti si preparava.

L’esercito austriaco in Italia, poi che intese le maravigliose sventure di Baviera, mutò le condizioni di guerra, e, d’offensore, assalito, abbandonò Verona; e imprese a ritirarsi verso Alemagna per le vie di Klagenfurt e di Gratz; raggiunto alla Piave fu vinto, e le sue ultime schiere sempre alle mani col nemico erano rotte o sforzate, duro destino di un esercito solamente inteso a ritirarsi. Ebbe più sicura stanza in Ungheria ponendosi in linea con le schiere del principe Carlo, nel tempo che l’esercito italo-franco si congiungeva sopra i monti del Sommering all’oste di Bonaparte.

Più ratte, più gravi furono le sventure austriache nel Tirolo; perciocchè, udite le sorti della vicina Baviera, i popolari armamenti, variabili col variar di fortuna, si sciolsero; Jellachich e Chasteler, con poche schiere ritirandosi verso lo bassa Ungheria, inseguiti dal duca di Danzica, e in ogni scontro disfatti, s’imbatterono nella vanguardia italiana, e disordinatamente in picciol numero salvaronsi. Nella Polonia si combatteva, si facevano trattati di tregua, si volteggiava dalle due parti, si dilungava la guerra, per prudenza comune del Poniatowski e dell’arciduca Ferdinando, quegli manco forte di questo ch’era disanimato da’ casi di Baviera e di Vienna.

I descritti fatti di Germania erano raccontati ed amplificati tra noi, aggiungendosi alle solite millanterie degli eserciti la provvidenza del governo che attendeva in tutti i modi a raffrenare i borboniani, inanimire i suoi, frastornare o trattenere la già pronta spedizione anglo-sicula. Ed in quel tempo giunse decreto dell’imperator Napoleone, da Vienna, col quale spogliava il papa delle temporali potestà, univa gli stati pontificii alla Francia, dichiarava la città di Roma libera, imperiale; provvedeva al mantenimento non largo nè scarso del pontefice, rimasto capo del sacerdozio. Il carico di mutazioni sì grandi era dato al re Gioacchino: una giunta.