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LIBRO SESTO — 1806. 3

il tedio de’ giudizii. Era il comando regio ne’ processi criminali così continuo, che spesso dopo il delitto il re componeva il magistrato da giudicare, prescriveva il procedimento e la pena, come vedemmo nelle cause di maestà l’anno 1799. I giudizii ad horas e ad modum belli erano frequenti. Due volte, magistrati diversi, per accusa di parricidio, si divisero in parità tra la colpa o la innocenza; ed il re Carlo, banchè pio, tenendo certa la colpa, e fastidito della ritardata pena, ruppe le more comandando che l’accusato capitano Galban morisse sulle forche. E perciò tra i molti errori della napoletana legislazione era massimo la servitù cieca de’ giudici all’arbitraria volontà del principe.

III. Rappresenterò della finanza il peso e gli effetti sulla ricchezza pubblica. Erano dazii tra i principali: il testatico, chiamato di once a fuoco, tassato dal fisco per comunità, spartito nelle famiglie per teste; il solo vivere generava tributo: gli arrendamenti, dazii sopra le materie di consumo, in gran parte venduti, volgendo a privato guadagno il benefizio che deriva dal cresciuto numero e più largo vivere del popolo: la prediale, nominata decima, fallacemente ripartita su le volontarie rivelazioni de’ possessori, favorendo le terre della chiesa e lasciando libere le regie e le feudali. Pagavano i baroni le antiche taglie dell’Adoa, del Rilevio, del Cavallomontato, leggiere e disuguali. Fruttavano al re il demanio regio e, d’esso parte, la dogana di Foggia (della quale dovrò dir tra poco, trattando del Tavoliere di Puglia), e molti impieghi venduti anche di giustizia. Così sconosciuti il principio delle rendite e l’uguaglianza ne’ tributarii, molti pesi pubblici distribuiti a caso e a favore e senz’ordine riscossi versavano ogni anno nella cassa regia sedici milioni di ducati.

La proprietà stava in poche mani quasi immobile per feudalità, primogeniture, fideicommissi, vincoli della chiesa e di fondazioni pubbliche; perciò ricchi i monasteri e i vescovadi, ricche le baronie e le commende, povero il resto. Le industrie poche, la natural copia de’ prodotti menomata dalla improvvidenza delle leggi e de’ reggitori, stabilita l’annona in ogni comunità, l’uscita dei frumenti vietata per ogni lontano sospetto di scarsezza, tutti gli errori di economia pubblica riguardati come sentenze. Le manifatture scarse e rozze, perchè poche le macchine, poveri i capitali, pericolose le associazioni, il miglioramento delle arti impossibile. Il commercio servo; soggette a dazio ogni entrata, ogni uscita; troppo tassati i prodotti d’industria o d’arti straniere sotto specie di giovare a’ proprii, ma questi rozzi e cari, perciò il capitale della consumazione accresciuto, i capitali riproduttivi distrutti o tenui. Essendo le opere pubbliche a cura della finanza, raramente se ne imprendevano, o cominciate compivansi; e intanto le comunità