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76 LIBRO SETTIMO — 1810.

tato) di non assaltare l’isola se non a dimanda di quella regina, o quando ei sapesse che combattevano tra loro soldati inglesi e siciliani, sì che il successo dei Francesi fosse certo.

Erano sedici migliaja i soldati di Gioacchino, e trecento i legni da guerra e trasporto. Sul colle chiamato del Piale, poco distante dal mare, fu alzata in mezzo al campo la magnifica tenda del re, e vi attendevano intorno i capi dell’esercito e della corte, i ministri, alcuni consiglieri di stato ed altri personaggi, impiegati alle cure presenti del regno, e riserbati alle future della Sicilia. Incontro a quelle schiere, su le rive del Faro da Messina alla Torre, aveva messo il campo l’esercito inglese, dodicimila soldati, e sopra i monti accampava in seconda linea l’esercito di Sicilia diecimila altri uomini; stavano nel porto di Messina, ancorati o mobili, vascelli, fregate, legni minori da guerra, mentre si affaticavano a fortificare la minacciata marina grande numero di soldati e di operai. Per adunare oste sì grande in quei luoghi gl’Inglesi sguarnirono le piccole isole (fuorchè Santa Maura) intorno a Corfù, e di parecchie navi slargarono la crociera, sì che quella città e le altre isole Ionie, guardate da Francesi ed oramai ridotte ad estrema penuria, furono abbondevolmente provvedute.

Nel giorno, nella notte, da Reggio a Scilla, da Torre di Faro a Messina, in mare, in terra era guerra continua, ma più a sdegno che ad effetto; le navi inglesi venivano a combattere le napoletane fin dentro alle cale del lito di Calabria; e poichè da questa parte era poco forte l’armata, andavano incontro su piccole barche velocemente remando i nostri soldati, all’arrembaggio, modo feroce in quella guerra, perchè pieno di danni e di morti senza scopo o benefizio. Nel campo di Gioacchino spesso disponevansi navi e soldati, che simulando il tragitto, apportavano al campo inglese ansietà e travagli. E molte volte sarebbesi passato dal finto al vero se gl’impeti di Murat non ratteneva Grenier, che non potendo palesare il segreto, lo copriva con la impossibilità della impresa, mentre Gioacchino ne dimostrava l’agevolezza; e sì che ne capi dell’esercito e dell’armata, divise le sentenze, voltarono in discordie le opinioni.

Cosi andarono le cose per cento giorni, e già passato il mezzo del settembre, gli equinozii agitando furiosamente il mare, bisognava a Gioacchino abbandonar con quei lidi la speranza della conquista. Ma volendo dar pruova che lo sbarco in Sicilia non era impossibile, preparate nella cala di Pentimele tante navi quante bastavano a mille seicento Napoletani, comandò che approdassero alla Scaletta i soldati, e per la via di Santo Stefano si mostrassero a tergo di Messina, promettendo che il resto dell’esercito e dell’armata assalirebbe tra Messina e la Torre. Il muovere dei Francesi da Grenier fu im-