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di antico, nello scomparto superiore abbiamo invece tutt'ora il bel paramento in pietra da taglio, dal quale sporgono le sottomensole su cui poggiavano le travi dei cavalletti che sostenevano la copertura.

La chiesa ha i muri con le pareti rivestiti di cantoni di calcare bianco, molto morbido e facile alla lavorazione.

L'abbagliante ed originario candore di queste belle pietre venne raddolcito ed ingentilito da una patina dorata, deposta dal sole e dall'aria in più che ottocento anni.


Il monaco vallombrosano Eugenio Flammini nella sua Cronaca racconta che il fondatore dell'Ordine, S. Giovanni Gualberto, per richiesta avutane inviò dieci monaci in Sardegna ed in Corsica, i quali nelle regioni di Plaiano e di Salvencro fondarono due monasteri dedicati all'arcangelo S. Michele1.

La narrazione del pio annalista non collima coi testi medioevali, i quali ci attestano di tutt'altra versione: la chiesa di S. Michele di Plaiano, come vedemmo, venne ceduta dai canonici del Duomo di Pisa ai monaci di S. Zenone con atto avente la data del 6 Novembre 1116. La chiesa di S. Michele di Salvenero apparisce in documenti posteriori come appartenente all'ordine vallombrosano: la prima menzione si ha in una bolla di Innocenzo II del 25 Maggio 1139 che ricorda l'abate Mauro di S. Michele di Salvenero. Papa Anastasio IV con bolla del 22 Novembre 1153 pose sotto la protezione della Santa Sede i monasteri vallombrosani esistenti in Sardegna e cioè Monasterium S. Pauli Pisani, Monasterium de Plaiano et S. Venesi in Sardinia2, il quale ultimo non è che il monastero di Salvenero. Questo in breve venne arricchito di terre e di concessioni, per cui gli abati acquistarono nel giudicato di Torres una grandissima influenza, che solo avea confronto con quella del vicino monastero di Saccargia.

Le vicende dell'ordine vallombrosano in Sardegna non sono molto note, per cui ci sia possibile determinare quando il monastero di Salvenero venne abbandonato. Certo è che serie degli abati continua fino a tutto il XIV secolo. Ritengo che i vallombrosani, come i benedettini

  1. Martini, Storia Ecclesiastica di Sardegna, Vol. III, pag. 426. Cagliari, Stamperia Reale 1841.
  2. Tola, Cod. Dipl. Sardo, Sec. XII, pag. 219.